TAR Toscana, Sezione I – Sentenza 13/06/2011 n. 1041
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

Nel concetto di stazione appaltante ritiene il Collegio che debba essere ricompresa anche l’eventuale società in house poiché quest’ultima, come correttamente deduce la difesa comunale, non si configura quale soggetto esterno all’amministrazione medesima ma, analogamente ai suoi uffici interni, ne rappresenta una parte sostanzialmente integrante, se pure giuridicamente separata. La forma societaria è uno strumento che l’Amministrazione intimata ha scelto per lo svolgimento delle proprie attività in materia di realizzazione delle opere pubbliche, ritenendo che possano più agevolmente essere portate a compimento mediante strumenti civilistici, ma sulla società il Comune (..) esercita un controllo penetrante il quale esclude che essa possa operare autonomamente. Le attività di progettazione che svolge rientrano quindi nell’ambito di previsione dell’art. 90, comma 1, lett. a), d.lgs. 163/06 perché l’ufficio tecnico della società in causa opera unicamente a favore dell’affidante e sotto il suo diretto controllo, e ciò esclude che nella fattispecie si sia realizzato un affidamento esterno da parte della stazione appaltante in spregio alle norme codicistiche, tanto più che la stessa [Alfa] a sua volta è tenuta (e provvede, come dimostrato dalla sua produzione documentale) ad affidare tramite gara la progettazione delle stesse.

TAR Lecce – Sentenza 24/05/2011 n. 482
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

Il divieto di cui all’art. 23-bis, comma 9, della legge n. 133 del 2008 si applica esclusivamente alle società titolari di affidamenti “diretti” di servizi pubblici locali a rilevanza economica, mediante il sistema del cosiddetto in house providing o in “autoproduzione” senza confronto concorrenziale, consentito solo in presenza di talune specifiche condizioni (ed in particolare che l’ente affidante eserciti sulla società affidataria un controllo analogo a quello dallo stesso esercitato sui propri servizi e che questa realizzi la parte più importante della propria attività nei confronti dell’ente o degli enti che la controllano). Infatti, la finalità del divieto, di cui al citato art. 23-bis, è di evitare che soggetti particolarmente qualificati, già titolari di affidamenti “diretti” e, quindi, di un rapporto privilegiato con l’ente di riferimento proprio in relazione alla stretta contiguità dei rapporti in essere con il soggetto pubblico possano lucrare, in questa loro veste di enti “strumentali”, ulteriori rendite di posizione in altri mercati o servizi pubblici locali a danno del libero gioco della concorrenza (vedi altresì i pareri dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici n. 3/2009 e n. 128/2009). Nel caso in esame, invece, la società vincitrice della gara per l’affidamento del servizio di trasporto scolastico ed extrascolastico dei centri ricreativi e soggiorni estivi promossi dalla stessa amministrazione, non è titolare di affidamenti diretti o in house providing, bensì di affidamenti, attraverso le procedure di cui al codice dei contratti e nel rispetto della normativa comunitaria, mediante gara o procedura negoziata e, quindi, con i sistemi di scelta del contraente con la pubblica amministrazione disciplinati proprio dalla normativa dettata a tutela della concorrenza e del mercato.

TAR L’Aquila, Sezione I – Sentenza 24/05/2011 n. 293
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

La più recente giurisprudenza del Consiglio di Stato (sez. V, 1° aprile 2011, n. 2012), ha esplicitamente escluso che l’art. 23bis, comma 9, d.l. 112/2008, come modificato dall’art. 15 d.l. 135/2009 (norma che preclude l’acquisizione della gestione di servizi ulteriori, con o senza gara, ai soggetti che gestiscono servizi pubblici locali ad essi affidati senza il rispetto dei principi dell’evidenza pubblica: cfr. Cons. St., sez. VI, 16 febbraio 2010, n. 850), applicabile ratione temporis alla fattispecie, possa trovare applicazione anche nelle gare, come quella in esame, che abbiano ad oggetto il mero appalto di un servizio. “Partendo dalla nozione comunemente accolta da dottrina e giurisprudenza del servizio pubblico locale (in contrapposizione a quella di appalto di servizi)”, è stato osservato che tale natura va riservata “a quelle attività che sono destinate a rendere un’utilità immediatamente percepibile ai singoli o all’utenza complessivamente considerata, che ne sopporta i costi direttamente, mediante pagamento di apposita tariffa, all’interno di un rapporto trilaterale, con assunzione del rischio di impresa a carico del gestore”. Il requisito essenziale della nozione di servizio pubblico locale sta quindi nel fatto “che il singolo o la collettività abbiano a ricevere un vantaggio diretto e non mediato da un certo servizio, escludendosi, di conseguenza, che ricorre sevizio pubblico a fronte di prestazioni strumentali a far sì che un’amministrazione direttamente o indirettamente, possa poi provvedere ad erogare una determinata attività. In quest’ultimo caso si parla, infatti, di mero appalto di servizi e non di servizio pubblico locale”, caratterizzato dal carattere bilaterale del rapporto e dall’assenza di qualunque diretto beneficio dell’utenza. Il che porta ad escludere che il “mero appalto di servizi” rientri nell’ambito di operatività dell’art. 23 bis, che riguarda, invece, “l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica, nell’intento di garantire, da una parte, la più ampia diffusione dei principi di concorrenza e, dall’altra, un’adeguata tutela degli utenti, sicché non trova applicazione laddove il servizio dedotto in contratto non sia qualificabile come servizio pubblico locale”. La decisione in parola ha espressamente disatteso l’affermazione secondo cui, anche se quello oggetto di gara non fosse qualificabile come servizio pubblico locale bensì come appalto di servizi, nulla muterebbe rispetto al divieto di svolgere lo stesso e ciò per espressa previsione legislativa (“né svolgere servizi o attività per altri enti pubblici…né partecipando a gare”), visto che “tale interpretazione estensiva della norma si pone in contrasto con tutto l’impianto normativo dell’art. 23 bis e con la ratio stessa della norma”, stabilendo il primo comma che le disposizioni del suddetto articolo “disciplinano l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica”, sicché ne è esclusa l’applicazione agli appalti di servizi, trovando tale conclusione conferma “nella costante giurisprudenza che ha chiarito che solo in presenza di servizi pubblici locali si può applicare la speciale disciplina sancita prima dall’art. 113 e successivamente dall’art. 23 bis che lo ha di fatto sostituito”.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 08/02/2011 n. 8
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

Se è vero che la scelta di non trasferire ad un soggetto terzo la funzione amministrativa atta a soddisfare la domanda relativa ad un pubblico servizio costituisce per la P.A. una facoltà legittima (come previsto dal Trattato CE), ciò non esclude che comunque la decisione di ricorrere ad una società “in house” invece che ad un soggetto terzo debba essere effettuata, previa valutazione comparativa dei rispettivi servizi offerti. Posto che l’art. 113, comma 5, del D.Lgs. n. 267 del 2000 prevede che la gestione dei servizi pubblici locali avvenga secondo una delle alternative modalità ivi contemplate, tra cui quella che si sostanzia nel conferire il servizio a società a capitale interamente pubblico, e che il ricorso all’affidamento diretto è sempre consentito, alla sola condizione che sussistano i requisiti indicati nella lett. c) di detto quinto comma, può convenirsi che non sia necessaria un’apposita ed approfondita motivazione di tale scelta, ma solo dopo che sia stata dimostrata non solo la sussistenza dei presupposti richiesti per l’autoproduzione, ma anche la convenienza rispetto all’affidamento della gestione del servizio a soggetti terzi, perché, in difetto, la scelta sarebbe del tutto immotivata e contraria al principio di buona amministrazione cui deve conformarsi l’operato della P.A..

TAR firenze, Sezione I – Sentenza 27/04/2010 n. 1042
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

La Cassa Depositi e Prestiti possiede i requisiti propri dell’organismo di diritto pubblico, come definito dall’art. 3, comma 26, del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163. Trattasi infatti di un soggetto dotato di personalità giuridica, sottoposto indubbiamente ad una influenza pubblica essendo il suo capitale in mano allo Stato, ed istituita per soddisfare esigenze di interesse generale che non hanno carattere industriale o commerciale. La Cassa ha infatti lo scopo di fornire la provvista finanziaria delle pubbliche amministrazioni statali e locali al fine di consentire loro di svolgere le proprie funzioni istituzionali. I contratti che vengono stipulati da Stato, regioni, enti pubblici, enti locali o organismi di diritto pubblico con la Cassa sono esenti dall’applicazione della normativa di evidenza pubblica in base a quanto stabilito dall’art. 19, comma 2, del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163. Secondo tale norma infatti le procedure dell’evidenza pubblica non si applicano agli appalti pubblici di servizi aggiudicati da un’amministrazione aggiudicatrice o da un ente aggiudicatore ad un’altra amministrazione aggiudicatrice in base ad un diritto esclusivo di cui essa beneficia in virtù di disposizioni legislative, regolamentari o amministrative, purché tali disposizioni siano compatibili con il Trattato europeo.

TAR Venezia – Sentenza 08/02/2010 n. 336
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

La sentenza T.A.R. Lazio, Sez. II – ter n. 9988 del 2007 richiede al fine della sussistenza del requisito del “controllo analogo” la previsione di un diritto di veto da parte di ciascun Ente partecipante alla società nei confronti delle deliberazioni assunte dagli organi sociali in modo difforme dalle proposte, nonché della competenza dell’assemblea ordinaria della trattazione di argomenti inerenti a pretese della società sugli Enti locali che ad essa partecipano scaturenti dal contratto di servizio e corrispondente al diritto di veto di ciascun Ente locale interessato sulle relative determinazioni; e, soprattutto, del diritto di recesso dalla società nei casi in cui l’Ente socio abbia diritto a far valere la risoluzione o, comunque, lo scioglimento del contratto di servizio con la Società. L’esigenza del “controllo analogo” deve essere espressamente normata in sede di statuto sociale e di patti parasociali garantendo al riguardo la necessaria unanimità degli Enti soci in ordine all’assenso all’esercizio dell’attività esterna con garanzia anche in questo caso del recesso per l’Ente eventualmente dissenziente. L’affidamento in house deve logicamente essere disposto allorquando il soggetto affidatario ha l’effettiva possibilità, all’interno del proprio contesto organizzativo, di svolgere con le proprie risorse il servizio oggetto dell’affidamento medesimo o, comunque, una sua parte significativamente consistente. Se, per contro, l’affidatario in house deve a sua volta rivolgersi a soggetti esterni – sia pure nelle necessarie forme dell’evidenza pubblica quale “organismo di diritto pubblico” a’ sensi dell’art. 2, comma 26, del D.L.vo 12 aprile 2006 n. 163 – per reperire risorse non marginali al fine dell’espletamento del servizio reso oggetto di affidamento, risulta ben evidente che l’Amministrazione affidante realizza nei propri confronti non già un vantaggio economico, ma una vera e propria diseconomia, non solo finanziaria in quanto il costo dello svolgimento del servizio stesso sarà intuitivamente aggravato dall’intermediazione dell’affidatario c.d. “in house”, ma anche – per così dire – “funzionale” sotto il profilo dell’efficacia e dell’economicità dell’azione amministrativa, all’evidenza appesantita dall’ingresso di un soggetto che funge da mero tramite tra l’Amministrazione affidante e l’imprenditore che materialmente svolge il servizio. L’articolo 23 bis del decreto-legge n.112/2008, convertito in legge n.133 del 2008 costituisce una disposizione completamente innovativa nel quadro della tematica dei così detti affidamenti in house, in relazione alla legittimità dei quali, conformandosi via via alle sempre maggiormente affinate letture derivanti dall’ordinamento comunitario, la normativa interna ha adottato varie discipline. Al fine di esplicitare la evidente eccezionalità rispetto al normale affidamento previa gara la disposizione in parola ha previsto significative innovazioni rispetto alla disciplina previgente, consentendo il ricorso all’affidamento solo in presenza non già dei riconosciuti requisiti consistenti nella totale partecipazione pubblica, nel cosiddetto controllo analogo, nella rilevanza prevalente dell’attività svolta in house e relativi corollari, bensì anche di eccezionali ragioni derivanti dal particolare contesto territoriale: dispone il terzo comma, infatti, che “ In deroga alle modalita’ di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l’affidamento puo’ avvenire nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria.” Del resto l’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici dei lavori servizi forniture, nella valutazione degli aspetti problematici della norma in sede di audizione del 10 novembre 2008, rilevava come la disposizione avesse definito la nuova disciplina di servizi pubblici locali a rilevanza economica finalizzata a un nuovo assetto del settore, che dovrà essere regolato da principi omogenei così da essere trasversale rispetto a quelle settoriali, soprattutto con riferimento al profilo dell’affidamento della gestione del servizio, rilevando come il principio di fondo della riforma fosse quello di favorire la più ampia diffusione dei principi di concorrenza, di libertà di stabilimento, di libera prestazione di servizi di tutti gli operatori economici interessati della gestione di servizi di interesse generale in ambito locale, con modalità tali da garantire il diritto di universalità e accessibilità di servizi per tutti gli utenti nonchè il livello essenziale delle prestazioni ai sensi dell’articolo 117 comma due lettere e) m) della Costituzione. In tale quadro è evidente che la disposizione di cui all’ultimo comma che prevede la persistenza del regime precedentemente in vigore relativamente alle sole procedure già avviate all’entrata in vigore della legge di conversione del decreto-consentendo pertanto di avviare procedure “in deroga” nel periodo intercorrente tra il decreto-legge e sua conversione – deve essere restrittivamente intesa, da un lato, e, dall’altro, legittimare le sole procedure già avviate ma non concluse nell’impero della nuova disciplina. La giurisprudenza afferma la natura eccezionale del sistema dell’”in house providing”, al quale gli enti locali possono ricorrere previa specifica motivazione laddove le condizioni di mercato non consentono di assicurare lo svolgimento efficiente di un determinato servizio. L’elaborazione giurisprudenziale ha, infatti, evidenziato il carattere eccezionale del modello “in house”, da utilizzare motivatamente e con cautela, laddove si tratti di un servizio di rilevanza economica e cioè di servizio che possa essere ordinariamente soddisfatto mediante ricorso al mercato, “nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria” (Tar Toscana, sez.I, n.174/09).

TAR Firenze, Sezione I – Sentenza 03/02/2010 n. 184
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

I nuclei concettuali portanti dell’art. 23-bis, comma 9 del D.L. n. 112 del 1998, sono fondamentalmente quattro e devono essere specificamente evidenziati: a) tale norma ha come referente soggettivo “i soggetti titolari della gestione di servizi pubblici locali non affidati mediante procedure competitive” (oltre altri che qui non rilevano) ai quali conferisce un regime giuridico, in termini di capacità d’agire, singolare e di specie; b) l’evocato regime giuridico derogatorio si sostanzia in alcuni divieti e segnatamente il divieto di acquisire la gestione di servizi ulteriori, il divieto di acquisire la gestione di servizi in ambiti territoriali diversi, il divieto di svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati; c) i divieti di assunzione di ulteriori servizi o attività concernono sia ipotesi di affidamento diretto sia ipotesi di affidamento mediante la partecipazione a gare, che è quindi inibita; d) i divieti medesimi riguardano sia direttamente i soggetti titolari di servizi pubblici locali non affidati mediante gara sia società che siano da essi controllate o che siano loro controllanti o comunque che siano da loro partecipate. Il comma 9 dell’art. 23-bis è ben più ampio nel porre limitazioni all’ulteriore attività degli affidatari diretti, inibendo loro non solo di “acquisire la gestione di servizi ulteriori ovvero in ambiti territoriali diversi” ma anche di “svolgere servizi o attività per altri enti pubblici o privati”, laddove il riferimento accanto ai “servizi” anche alle “attività” non può che essere funzionale ad estendere il fuoco applicativo della norma oltre l’ambito proprio dei servizi pubblici e a comprendere anche il settore degli appalti di servizio.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 29/12/2009 n. 8970
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

I requisiti dell’in house non sono riferibili a ciascun ente locale partecipante nel senso di configurare un obbligo per ciascun ente locale di controllare l’intera società. Tale tesi appare in contrasto con la disciplina normativa di cui al D. Lgs. n. 152/2006 ed in contrasto con l’intento del legislatore, il quale non pretende in alcun modo di imporre a ciascun ente locale di costituire una propria società, ma – ben diversamente – intende favorire la collaborazione tra piccoli enti locali chiamati a far fronte ai numerosi e complessi servizi pubblici che devono essere garantiti sul territorio, con previsione della creazione di una nuova struttura amministrativa ad hoc (l’ATO) incaricata di stimolare la organizzazione del servizio oltre i ristretti limiti del territorio comunale, favorendo anche la collaborazione tra i tanti enti locali. In base alla giurisprudenza comunitaria e nazionale, è da ritenersi del tutto corretta e legittima – laddove consentita – la modalità organizzativa dell’ in house providing c.d. frazionato, nel quale cioè la società in house costituisce longa manus ed organo di gestione del servizio per tante e diverse amministrazioni ed è strumentale ad una gestione associata ed economica della attività dalle medesime prestate; in sostanza, ciò che rileva ai fini della legittimità dell’affidamento non è la circostanza che si abbia la configurabilità di un controllo totale ed assoluto di ciascun ente pubblico sull’intera società in house, bensì l’esistenza di strumenti giuridici (di diritto pubblico o di diritto privato) idonei a garantire che ciascun ente, insieme a tutti gli altri azionisti della società in house, sia effettivamente in grado di controllare ed orientare l’attività della società controllata.  

TAR Firenze, Sezione II – Sentenza 08/09/2009 n. 1430
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

La giurisprudenza (cfr. C.G.A., 4 settembre 2007 n. 719) ha di recente vieppiù ristretto l’ambito di operatività della figura dell”in house providing”, avendo ritenuto essenziale, in aggiunta alla necessaria totale proprietà del capitale da parte del soggetto pubblico, il concorso dei seguenti ulteriori fattori, idonei ad assicurare un controllo effettivo, e non solo formale o apparente: il controllo del bilancio, il controllo sulla qualità dell’amministrazione; la spettanza di poteri ispettivi diretti e concreti; la totale dipendenza dell’affidatario diretto in tema di strategie e politiche aziendali (cfr. anche Cons. St., Ad. Plen., 3 marzo 2008 n. 1, che ha affermato gli stessi principi, anche se nella fattispecie esaminata non si configurava un’ipotesi di “in house providing” trattandosi dell’affidamento di servizi a una società mista).

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 26/08/2009 n. 5082
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

Ai fini della configurabilità di un “controllo analogo”, non è necessaria la ricorrenza, in capo ad un socio pubblico, di un potere di controllo individuale del singolo socio affidante sulla società-organo assimilabile a quello, individuale, delineato dai primi due commi dell’art. 2359 c.c.. La diversa linea tracciata dalla Corte di giustizia, alla quale il Collegio ovviamente aderisce, è invece nel senso dell’esigenza che il controllo della mano pubblica sull’ente affidatario sia effettivo, ancorché esercitato congiuntamente e, deliberando a maggioranza, dai singoli enti pubblici associati.In effetti, l’impostazione del Giudice europeo trova riscontro nelle esperienze positive di molti Stati membri e, per quel che qui interessa, anche nel diritto amministrativo italiano che annovera diverse forme associative tra enti pubblici, anche per finalità di gestione in comune di pubblici servizi (si considerino, ad esempio, i consorzi di cui all’art. 31 del D.Lgs. n. 267/2000), in cui il controllo da parte del singolo ente sull’attività svolta, nell’interesse comune, dalla specifica forma associativa non è “individuale”, ma intermediato e, quindi, inevitabilmente attenuato dall’applicazione delle regole sul funzionamento interno dell’istanza associativa (conf. la recente delibera 24/ 2009 dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici). Osta alla configurabilità del modello in parola l’acquisizione, da parte dell’impresa affidataria, di una vocazione schiettamente commerciale tale da rendere precario il controllo dell’ente pubblico. Detta vocazione, può, in particolare, risultare dall’ampliamento, anche progressivo, dell’oggetto sociale e dall’apertura obbligatoria della società ad altri capitali o dall’espansione territoriale dell’attività della società: l’affermarsi di una vocazione strategica basata sul rischio di impresa finisce infatti per condizionare le scelte strategiche dell’ente asseritamene in house, distogliendolo dalla cura primaria dell’interesse pubblico di riferimento e, quindi, facendo impallidire la natura di costola organica, pur se entificata, dell’ente o degli enti istituenti (Cons. Stato, sez. VI, 3.4.2007, n. 1514 e sez. V, 8.1.2007, n. 5).

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 29/04/2009 n. 2765
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

Appare estranea all’ordinamento, e non è desumibile dall’art. 118 del D.Lgs. n. 163/2006 in materia di subappalto, la regola che impone al concessionario in house di un servizio pubblico di svolgerlo interamente in proprio, con il corrispondente divieto di affidarne, anche in parte, lo svolgimento a terzi (selezionati tramite gara). Risulta, invece, vigente una regola, di segno esattamente opposto che obbliga gli organismi di diritto pubblico (categoria nella quale rientra una società che svolge in house providing) ad osservare, per i propri affidamenti “a valle”, i principi e le norme dell’evidenza pubblica (art. 3, commi 25 e 26, e 32 del D.Lgs. n. 163/2006).

Resta ferma l’esclusiva responsabilità della società nei confronti degli enti titolari (quelli che su di essa esercitano il “controllo analogo”) per la gestione del servizio direttamente affidatole. D’altronde, è la logica giuridica che conduce inevitabilmente a tale conclusione, dal momento che l’affidatario in house è un’emanazione di un soggetto pubblico a sua volta tenuto al rispetto di quei principi e di quelle norme.

TAR Firenze, Sezione I – Sentenza 13/03/2009 n. 417
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

Nel delimitare l’ambito di propria applicazione l’art. 13 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248, oltre a far riferimento alle “società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali o locali”, pone in luce come le suddette società devono avere come oggetto, alternativamente, o “la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti” ovvero “lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza” ove consentito. Si tratta di un punto importante. La norma in esame detta come prima e più significativa prescrizione per le società pubbliche da essa disciplinate quella di “operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti “, con il corollario che le società stesse “non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara”. La ratio legis indicata dallo stesso art. 13 nel suo incipit – evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e assicurare la parità tra gli operatori – trova la sua principale esplicazione nella precisa delimitazione del ruolo delle società costituite o comunque partecipate dagli enti locali per la produzione in house di beni e servizi strumentali alla loro attività, delimitazione realizzata attraverso la imposizione di una corrispondenza soggettiva tra enti pubblici titolari del capitale sociale, ed esercitanti il c.d. “controllo analogo”, ed enti beneficiari delle prestazioni delle società. In altre parole il significato precipuo della normativa è questo: è ben possibile che gli enti pubblici costituiscano società in house per lo svolgimento di attività strumentale, e nel far questo possono sottrarsi alle procedure di gara, però poi le società che ne derivano dovranno operare solo per gli enti che le hanno generate, non potendo utilizzare il vantaggio che deriva loro da quella particolare origine, e dallo svolgimento privilegiato delle attività per conto degli enti costituenti, per partecipare a procedure di affidamento da parte di altri soggetti pubblici in condizione di solo apparente concorrenza con gli altri operatori economici.

Consiglio di Stato, Sezione VI – Sentenza 12/03/2009 n. 1555
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

Con la condivisibile decisione n. 4603/2008 si è affermato che “il modello delle società miste è previsto in via generale dall’art. 113 comma 5 lett. b) d.lgs. n. 267 del 2000, come modificato dall’art. 14 d.l. n. 269 del 2003 e dalla relativa legge di conversione, n. 326 del 2003, norme che, pur avendo attinenza ai contratti degli enti locali, delineano un completo paradigma, valido anche al di fuori del settore dei servizi pubblici locali. E che tale modello valga anche al di fuori del settore dei servizi, lo si evince dall’art. 1 comma 2 e dall’art. 32 del codice dei contratti pubblici (d.lgs. n. 163 del 2006), che contemplano il caso di società miste per la realizzazione di lavori pubblici e per la realizzazione e/o gestione di un’opera pubblica.”. Inoltre traspare, dal parere n. 456/2007 , la preoccupazione di fondo – che attinge con precipuo riferimento, il modello della “società mista” – secondo cui una “ condivisa inconfigurabilità del modello dell’in house per le società miste rischierebbe di condurre, a far valere gli indirizzi della Corte di Lussemburgo come una sorta di “incoraggiamento” alla costituzione di società pubbliche al 100%, senza alcuna procedura selettiva e senza alcun ricorso al mercato. Questa Sezione ritiene, invece, che l’affidamento a soggetti pubblici al 100% costituisca, in qualche modo, la negazione del mercato”.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 09/03/2009 n. 1365
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

Sussiste il “controllo analogo” laddove attraverso l’istituzione di un organo, denominato Assemblea dei Sindaci, i Comuni soci si siano riservati, oltre a rafforzati poteri di controllo sulla gestione, il potere, ad esercizio necessariamente congiunto (stante il metodo di voto all’unanimità), di approvare in via preventiva tutti gli atti più rilevanti della società, ovverosia, tra le altre, tutte le deliberazioni da sottoporre all’assemblea straordinaria, quelle in materia di acquisti e cessioni di beni e partecipazioni, quelle relative alle modifiche dei contratti di servizio, quelle in tema di nomina degli organi e quelle in ordine al piano industriale. E’ evidente che, in questo quadro, la mancata considerazione della sola gestione ordinaria non esclude la sussistenza di un controllo analogo concreto e reale, posto che gli atti di ordinaria amministrazione non potranno discostarsi dalle determinazioni preventivamente assunte dall’Assemblea dei Sindaci in ordine a tutte le questioni più rilevanti.

TAR Bari, Sezione III – Sentenza 02/03/2009 n. 440
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

E’ legittimo l’annullamento in via di autotutela degli atti di costituzione di una società a totale capitale pubblico cui è stato affidato in via diretta la gestione dei servizi portuali, in tal modo contravvenendo alle regole dell’evidenza pubblica ed ai principi fondamentali di libertà di concorrenza, trasparenza e non discriminazione dettati in materia dalla normativa e dalla giurisprudenza comunitaria, oltre che specificamente dall’art. 6 comma 5, l. n.84 del 1994. Per quanto concerne la giustificazione dell’interesse pubblico che deve sostenere l’adozione di atti di autotutela si deve osservare che l’obbligo di esternare le ragioni che sono a fondamento degli atti posti in essere in esito a procedimenti di secondo grado trova, in materia di annullamento di atti di aggiudicazione di gare pubbliche, un limite nella doverosa considerazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa in modo che, quando si accerti la violazione di tali principi, che sono a fondamento della tutela accordata alla libera concorrenza nella partecipazione alle procedure contrattuali ad evidenza pubblica, l’interesse pubblico perseguito è oggettivamente riscontrabile nella reintegrazione,attraverso l’atto di annullamento dell’aggiudicazione che abbia inciso i suddetti valori, del libero esplicarsi del confronto concorrenziale. Anche sul punto appare corretta, pertanto, la statuizione del primo giudice”. In termini analoghi si è espresso il T.A.R. Puglia – Lecce (cfr. sentenza n. 1270/2008): “…, diversamente da quanto accade in materia di provvedimenti amministrativi c.d. di secondo grado, laddove la P.A. procedente se individua la necessità di annullare atti di primo grado, deve non solo esplicitare il vizio di legittimità, ma anche dare contezza delle ragioni di pubblico interesse, non riconducibili alla mera esigenza di ripristino della legalità, che l’inducono a rimuovere dal mondo del diritto l’atto stimato illegittimo (ex multis Cons. St. Sez. VI 14 gennaio 2000 n. 244), deponendo, in tal senso, anche l’espressa previsione dell’art. 21-nonies, comma 1, l. n. 241/90, purtuttavia, in materia di annullamento di atti di aggiudicazione di gare pubbliche, o di concessione di un pubblico servizio, tali principi trovano un limite nella doverosa considerazione dei principi costituzionali di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa, in modo che, quando si accerti la violazione di tali principi, che sono a fondamento della tutela accordata alla libera concorrenza nella partecipazione alle procedure contrattuali ad evidenza pubblica, l’interesse pubblico perseguito è oggettivamente riscontrabile nella reintegrazione, attraverso l’atto di annullamento dell’aggiudicazione che abbia inciso i suddetti valori, del libero esplicarsi del confronto concorrenziale (Cons. St. Sez. V 22 giugno 2004 n. 4371).

TAR Bari, Sezione III – Sentenza 02/03/2009 n. 440
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

La gestione delle stazioni marittime e dei servizi di supporto ai passeggeri di cui all’art. 1 lett. e), d.m. 14 novembre 1994, nonché la gestione dei locali destinati all’espletamento di attività, anche commerciali, connesse o accessorie al traffico passeggeri, ha natura di servizio pubblico. Il diritto comunitario è nel senso che se nel corso della durata di un rapporto di concessione sorto per affidamento diretto muta la compagine sociale dell’affidatario (con l’ingresso anche minoritario di privati) ciò comporta vulnerazione dei principi sanciti dal Trattato in materia di concorrenza. Se ne ricava che, oltre a dover sussistere nel momento genetico del rapporto, la proprietà pubblica della totalità del capitale sociale non solo deve permanere per tutta la durata del rapporto ma deve anche essere garantita da appositi e stabili strumenti giuridici, quali il divieto di cedibilità delle azioni posto ad opera dello statuto. Sul punto, rilevato che analogo avviso risulta condiviso dalla decisione n. 1/2008 dell’Adunanza plenaria (che per negare la possibilità di far ricorso all’in house providing dà appunto rilievo alla cedibilità delle azioni prevista dallo statuto del soggetto destinatario dell’affidamento diretto), è sufficiente osservare che in mancanza di una stabile e certa incedibilità delle azioni, il rispetto delle regole della concorrenza sarebbe rimesso (come non è ragionevolmente consentito) alla costante vigilanza degli altri operatori del settore, i quali dovrebbero verificare, per tutta la durata del rapporto sorto per affidamento diretto, la permanenza in mano pubblica del capitale.”. Pertanto l’affidamento diretto in house presuppone che il soggetto affidatario non solo sia una società a totale partecipazione pubblica ma che tale assetto azionario permanga per tutta la durata della vita della società e sia garantito nel tempo da apposita clausola statutaria che contempli il divieto di cedibilità a privati delle azioni. Ai fini della legittimità dell’affidamento diretto ad una società mista pubblico-privato è richiesta la presenza del socio privato “operativo” selezionato con idonea gara pubblica. A tal fine non appare idonea la pubblicazione di un semplice avviso per la raccolta di manifestazioni di interesse alla sottoscrizione di quote.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 03/02/2009 n. 591
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

La proprietà pubblica della totalità del capitale sociale non solo deve permanere per tutta la durata del rapporto, ma deve anche essere garantita da appositi e stabili strumenti giuridici, quali il divieto di cedibilità delle azioni posto ad opera dello statuto. Sul punto, rilevato che analogo avviso risulta condiviso dalla decisione n. 1/2008 dell’Adunanza plenaria (che per la negare la possibilità di far ricorso all’in house providing dà appunto rilievo alla cedibilità delle azioni prevista dallo statuto del soggetto destinatario dell’affidamento diretto), è sufficiente osservare che in mancanza di una stabile e certa incedibilità delle azioni, il rispetto delle regole della concorrenza sarebbe rimesso (come non è ragionevolmente consentito) alla costante vigilanza degli altri operatori del settore, i quali dovrebbero verificare, per tutta la durata del rapporto sorto per affidamento diretto, la permanenza in mano pubblica del capitale. Il possesso dell’intero capitale sociale da parte dell’ente pubblico, pur astrattamente idoneo a garantire il controllo analogo a quello esercitato sui servizi interni, perde tale qualità se lo statuto della società consente che una quota di esso, anche minoritaria, possa essere alienata a terzi. Il principio per cui il controllo esercitato dalla autorità aggiudicatrice non deve essere diluito per effetto della partecipazione, anche di minoranza, di un’impresa privata nel capitale della società cui sia stata affidata la gestione del servizio pubblico ed il principio per cui tale società deve realizzare la parte essenziale delle proprie attività unitamente all’ente o gli enti che la controllano, devono risultare soddisfatti “permanentemente”.

TAR Venezia – Sentenza 02/02/2009 n. 236
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

L’affidamento in house deve logicamente essere disposto allorquando il soggetto affidatario ha l’effettiva possibilità, all’interno del proprio contesto organizzativo, di svolgere con le proprie risorse il servizio oggetto dell’affidamento medesimo o, comunque, una sua parte significativamente consistente. Se, per contro, l’affidatario in house deve a sua volta rivolgersi a soggetti esterni – sia pure nelle necessarie forme dell’evidenza pubblica quale “organismo di diritto pubblico” a’ sensi dell’art. 2, comma 26, del D.L.vo 12 aprile 2006 n. 163 – per reperire risorse non marginali al fine dell’espletamento del servizio reso oggetto di affidamento, risulta ben evidente che l’Amministrazione affidante realizza nei propri confronti non già un vantaggio economico, ma una vera e propria diseconomia, non solo finanziaria in quanto il costo dello svolgimento del servizio stesso sarà intuitivamente aggravato dall’intermediazione dell’affidatario c.d. “in house”, ma anche – per così dire – “funzionale” sotto il profilo dell’efficacia e dell’economicità dell’azione amministrativa, all’evidenza appesantita dall’ingresso di un soggetto che funge da mero tramite tra l’Amministrazione affidante e l’imprenditore che materialmente svolge il servizio. Si rileva un controllo “debole”, e non “analogo”, allorquando lo statuto e gli eventuali patti parasociali non contemplino la previsione di un diritto di veto da parte di ciascun Ente partecipante alla società nei confronti delle deliberazioni assunte dagli organi sociali in modo difforme dalle proposte, nonché della competenza dell’assemblea ordinaria della trattazione di argomenti inerenti a pretese della società sugli Enti locali che ad essa partecipano scaturenti dal contratto di servizio e, soprattutto, del diritto di recesso dalla società nei casi in cui l’Ente socio abbia diritto a far valere la risoluzione o, comunque, lo scioglimento del contratto di servizio con la Società. Inoltre, se è vero che l’esercizio di attività extraterritoriali da parte della Società controllata non pare – di per sé – precluso in linea di principio dalla previsione contenuta nell’attuale testo dell’art. 113 del T.U.E.L., devono essere espressamente previsti dei criteri volti ad evitare che le risorse aziendali della società controllata siano utilizzate in modo prevalente su attività di impresa esterne al territorio degli Enti partecipanti.

TAR Milano, Sezione III – Sentenza 10/12/2008 n. 5759
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

La verifica del controllo analogo non può che effettuarsi sul piano dell’esistenza di previsioni che conferiscano, agli Enti aventi una partecipazione esigua alla società affidataria, dei poteri di controllo nell’ambito in cui si esplica l’attività decisionale della società tramite gli organi di questa: poteri che si esplichino non solo in forma propulsiva, sub specie di proposte da portare all’ordine del giorno di detti organi, ma anche – e principalmente – di poteri di inibizione di iniziative o decisioni che contrastino con gli interessi dell’Ente locale nel cui territorio si esplica il servizio, quali rappresentati dall’Ente stesso con le suindicate proposte. Occorre, inoltre, che i predetti poteri inibitivi siano esercitabili dall’Ente pubblico come tale, a prescindere dalla misura della partecipazione di esso al capitale della società affidataria, ma per il semplice fatto che l’Ente, nel cui territorio si svolge il servizio, consideri le deliberazioni o le attività societarie contrastanti con i propri interessi ed abbia per tal ragione il potere di paralizzare le suddette deliberazioni e attività. La giurisprudenza ha in particolare rinvenuto l’esistenza del controllo analogo in presenza di clausole, contenute nello statuto societario e nel contratto di servizio, attributive all’Ente locale affidante delle seguenti prerogative, che l’Ente stesso può esercitare, ai fini del controllo sul servizio, indipendentemente dalla quota di capitale posseduta (T.A.R Lazio, Roma, n. 9988/2007, cit.): potere dell’Ente di effettuare nei confronti dell’organo amministrativo proposte di iniziative attuative del contratto di servizio; diritto di veto sulle deliberazioni assunte in modo difforme dal contenuto delle proposte; diritto di recesso dalla società, con revoca dell’affidamento del servizio, qualora il Comune abbia diritto di far valere la risoluzione o comunque lo scioglimento del contratto di servizio, nonché nel caso di violazione delle competenze assembleari, quando cioè l’organo amministrativo assuma iniziative rientranti nelle competenze dell’assemblea senza l’autorizzazione di questa. A ciò si sono poi aggiunte la riserva all’assemblea ordinaria del potere di trattare argomenti inerenti a pretese o diritti delle società sugli Enti locali nascenti dal contratto di servizio e il diritto di veto di ogni Ente locale interessato sulle relative determinazioni.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 27/11/2008 n. 5781
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

Con il parere della seconda Sezione n. 456 del 18 aprile 2007 e con la sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 1 del 3 marzo 2008, sono state precisate le condizioni alle quali è subordinata la legittimità dell’affidamento diretto di un servizio pubblico ad una società a partecipazione pubblica. A tale proposito, premesso che il principio per cui la scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione deve essere comunque a ispirata a criteri obiettivi e trasparenti, tali da assicurare in ogni caso la concorrenza tra i soggetti interessati (C. giust. CE, 7 dicembre 2000) ha una portata generale e può adattarsi a ogni fattispecie estranea all’immediato ambito applicativo delle direttive sugli appalti (Cons. Stato, sez. IV, 15 febbraio 2002, n. 934), è stato chiarito che la società in house deve agire come un vero e proprio organo dell’amministrazione “dal punto di vista sostantivo” (in ragione del controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi dall’amministrazione aggiudicatrice e della destinazione prevalente dell’attività dell’ente in house in favore dell’amministrazione stessa), e che solo a tali condizioni può essere affidataria diretta del servizio pubblico. Inoltre, la Corte di Giustizia ha posto quale condizione della legittimità dell’affidamento diretto, tra l’altro, la mancanza di soci privati nella compagine societaria (da ultimo, Corte giustizia CE, grande sezione, 08 aprile 2008 , n. 337).

TAR Roma, Sezione III ter – Sentenza 17/09/2008 n. 8356
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

La partecipazione pubblica totalitaria è condizione necessaria, ma non sufficiente ad integrare il requisito del controllo analogo, essendo in particolare necessario che l’ente pubblico controllante possa esercitare poteri maggiori rispetto a quelli che il diritto societario riconosce a chi detiene la maggioranza del capitale sociale, traducentisi in un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici, che sulle decisioni importanti della società (Corte Giustizia CE, 13/10/2005, in causa C-458/03, Parking Brixen; 11/5/2006, in causa C-340/04, Carbotermo; nonché, da ultimo, 17/7/2008, in causa C-371/05, Commissione c/Repubblica Italiana).

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 09/06/2008 n. 2832
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

In materia di affidamento del servizio di distribuzione del gas naturale, come chiarito anche dalla Corte di giustizia dell’Unione europea (21 luglio 2005) l’affidamento al privato di un servizio pubblico avviene tramite una ” concessione, che non rientra nell’ambito di applicazione né della direttiva del Consiglio 18 giugno 1992, 92/50/CEE, che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, né della direttiva del Consiglio 14 giugno 1993, 93/38/CEE, che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto nonché degli enti che operano nel settore delle telecomunicazioni “, ma a cui si applica direttamente il trattato costitutivo della comunità (articoli 43 CE e 49 CE). Ne consegue che, a parte il contenuto del contratto di servizio, che è condizionato dal contratto tipo approvato dall’autorità centrale, il resto ed in particolare la disciplina del procedimento di gara è sostanzialmente rimessa alla discrezionalità dei singoli enti locali, che comunque possono esercitarla solo nel rispetto dei principi generali in materia di confronto concorrenziale e dei singoli paletti posti dall’articolo 14 del decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 164.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 19/05/2008 n. 2280
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

La non riconducibilità di una procedura ad evidenza pubblica agli schemi tipologici del ‘Codice dei contratti’ (ed alla pertinente normativa comunitaria di riferimento) non incide sulla soggiacenza a principi di evidenza pubblica valevoli, alla stregua di un principio comunitario da ultimo recepito con il ‘Codice dei contratti’, per tutte le attività contrattuali della P.A. pur se non soggette a disciplina puntuale di stampo nazionale o di derivazione europea. Ciò, in ossequio ai principi del Trattato in tema di tutela della concorrenza valevoli anche al di là dei confini tracciati da direttive specifiche in quanto tesi ad evitare restrizioni ingiustificate e sproporzionate alla regola generale della libertà di competizione (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 10 gennaio 2007, n. 30). L’approccio in questione viene confermato, sotto il profilo sistematico, dal recente orientamento della Commissione europea la quale ha chiarito che le regole ed i principi dell’evidenza pubblica – in quanto principi generali direttamente desumibili dalle disposizioni del Trattato – trovano applicazione non solo nelle ipotesi in cui una puntuale prescrizione del diritto comunitario derivato ne renda obbligatorio l’utilizzo ma, più in generale, in tutti i casi in cui un soggetto pubblico decida di individuare un contraente per l’attribuzione di un’utilitas di rilievo economico comunque contendibile fra più operatori del mercato.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 14/04/2008 n. 1600
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

L’illuminazione votiva dei cimiteri comunali non può consistere che in un servizio pubblico, in quanto assunto dal Comune e mirante a soddisfare il sentimento religioso e la pietas di coloro che frequentano il cimitero, consentendo pertanto al Comune stesso di realizzare fini sociali e promuovere lo sviluppo civile della comunità locale a termine dell’art. 112 del d. lgs. 18 agosto 2000 n. 267, recante testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali. Più precisamente, si tratta di concessione di servizio pubblico locale a rilevanza economica, perché richiede che il concessionario impieghi capitali, mezzi, personale da destinare ad un’attività economicamente rilevante in quanto suscettibile, quanto meno potenzialmente, di produrre un utile di gestione e, quindi, di riflettersi sull’assetto concorrenziale del mercato di settore.

Corte di Giustizia U.E., Sezione Grande Sezione – Sentenza 08/04/2008 n. C-337/05
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

Secondo costante giurisprudenza della Corte, il ricorso alla gara, conformemente alle direttive relative all’aggiudicazione degli appalti pubblici, non è obbligatorio, anche quando il contraente è un ente giuridicamente distinto dall’amministrazione aggiudicatrice, qualora due condizioni siano soddisfatte. Da un lato, l’amministrazione pubblica, che è un’amministrazione aggiudicatrice, deve esercitare sull’ente distinto in questione un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e, dall’altro, l’ente di cui trattasi deve svolgere la parte più importante della sua attività con l’ente o gli enti pubblici che lo detengono (v. sentenze Teckal, citata supra, punto 50; 11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Lochau, Racc. pag. I-1, punto 49; 13 gennaio 2005, causa C-84/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-139, punto 38; 10 novembre 2005, causa C-29/04, Commissione/Austria, Racc. pag. I-9705, punto 34; 11 maggio 2006, causa C-340/04, Carbotermo e Consorzio Alisei, Racc. pag. I-4137, punto 33, nonché 19 aprile 2007, causa C-295/05, Asemfo, Racc. pag. I-2999, punto 55). La partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice in questione esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi (v. sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, citata supra, punto 49). In caso di società parzialmente aperta al capitale privato è escluso che lo Stato italiano possa esercitare su tale società un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi.

Corte di Giustizia U.E., Sezione Grande Sezione – Sentenza 08/04/2008 n. C-337/05
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

Secondo costante giurisprudenza della Corte, il ricorso alla gara, conformemente alle direttive relative all’aggiudicazione degli appalti pubblici, non è obbligatorio, anche quando il contraente è un ente giuridicamente distinto dall’amministrazione aggiudicatrice, qualora due condizioni siano soddisfatte. Da un lato, l’amministrazione pubblica, che è un’amministrazione aggiudicatrice, deve esercitare sull’ente distinto in questione un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi e, dall’altro, l’ente di cui trattasi deve svolgere la parte più importante della sua attività con l’ente o gli enti pubblici che lo detengono (v. sentenze Teckal, citata supra, punto 50; 11 gennaio 2005, causa C-26/03, Stadt Halle e RPL Lochau, Racc. pag. I-1, punto 49; 13 gennaio 2005, causa C-84/03, Commissione/Spagna, Racc. pag. I-139, punto 38; 10 novembre 2005, causa C-29/04, Commissione/Austria, Racc. pag. I-9705, punto 34; 11 maggio 2006, causa C-340/04, Carbotermo e Consorzio Alisei, Racc. pag. I-4137, punto 33, nonché 19 aprile 2007, causa C-295/05, Asemfo, Racc. pag. I-2999, punto 55). La partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice in questione esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare su detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi (v. sentenza Stadt Halle e RPL Lochau, citata supra, punto 49). In caso di società parzialmente aperta al capitale privato è escluso che lo Stato italiano possa esercitare su tale società un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 04/03/2008 n. 904
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

E’ contrario ai canoni di trasparenza e buona fede dalla P.A. il provvedimento di revoca di un bando di gara pubblica ed annullamento della procedura, adottato dopo che era stato dato avviso di avvio di procedimento di revoca di un precedente atto di autotutela sospeso e non eseguito, preannunciandone la rimozione, e ciò senza ulteriore avviso del radicalmente mutato oggetto procedimentale, in quanto, così operando è stato sostanzialmente precluso l’apporto partecipativo che la stessa Amministrazione aveva mostrato di voler garantire.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 04/03/2008 n. 904
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

La partecipazione alla pubblica gara evidenzia e qualifica la posizione del concorrente che vi è ammesso, cosicché non può ragionevolmente escludersi una qualsiasi tutela a fronte degli eventuali ripensamenti dell’Amministrazione, in ordine alla scelta di non procedere alla gara e di revocare il bando; pertanto sussiste l’interesse del concorrente legittimamente ammesso alla procedura, ad impugnare il provvedimento di revoca.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 04/03/2008 n. 889
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

Il principio fondamentale dell’attività contrattuale della pubblica amministrazione è contenuto nell’art. 3 del R.D. 18.11.1923 n. 2440: ogni contratto della pubblica amministrazione da cui derivi un’entrata o una spesa deve essere preceduto da una gara, salvo che non ricorrano le ipotesi eccezionali in cui si possa far ricorso alla trattativa privata. Tra i contratti in questione non può negarsi che rientrano anche quelli di società, perché dagli stessi derivano spese (conferimenti ) ed entrate ( eventuali utili). La ratio del predetto principio è quella di assicurare la par condicio tra tutti i potenziali interessati a contrattare con l’amministrazione e di consentire all’amministrazione stessa, mediante l’acquisizione di un pluralità di offerte, di contrattare alle condizioni più vantaggiose. L’evidenziata ratio del principio è valida per qualsiasi attività dell’amministrazione, che deve in ogni caso agire per il miglior impiego delle risorse a sua disposizione e far sì che, allorquando si presenti mediante l’impiego di tali risorse pubbliche per i privati una possibilità di guadagno, tutti siano messi in grado di beneficiarne a parità di condizioni.

Consiglio di Stato, Sezione IV – Sentenza 29/01/2008 n. 263
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

Il conferimento di un incarico professionale di consulenza per gli aspetti geologici nell’ambito della redazione di un piano strutturale (urbanistico) e di un regolamento edilizio non rientra né nell’ambito della disciplina degli appalti di lavori pubblici (trattandosi invero di un’attività professionale – qualificata locatio operis – riferibile ad una scelta eminentemente fiduciaria del professionista, Cass. SS.UU. 19 ottobre 1998, n. 10370; C.d.S., sez. IV, 27 novembre 2000, n. 6315; 28 agosto 2001, n. 4573; sez. VI, 4 settembre 2002, n. 4433), né in quella degli appalti di servizi (non rinvenendosi i caratteri propri dell’appalto di servizio ex art. 1655 C.C. e art. 3 del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 157, giacché l’appalto si distingue dal contratto d’opera in quanto l’appaltatore deve essere una media o grande impresa, C.d.S., sez. IV, 28 agosto 2001, n. 4573). D’altra parte, anche se non è espressamente disciplinato il conferimento di tali incarichi fiduciari, in base ai principi di trasparenza e di buon andamento l’amministrazione può stabilire le regole per l’individuazione in concreto del soggetto più idoneo ed adeguato (per professionalità, esperienze, conoscenze tecniche) cui conferire il predetto incarico fiduciario, regole alle quali essa stessa è poi ineluttabilmente vincolata, proprio in ossequio ai principi fondamentali di legalità, imparzialità e buon andamento fissati dall’articolo 97 della Costituzione.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 23/01/2008 n. 156
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

L’art. 113, comma 14° del d. lgs. 267/2000 è una norma sicuramente eccezionale, in quanto esula dai canoni dell’ordinarietà laddove -in deroga al principio della tutela della concorrenza, a presidio del quale sono dettate in subiecta materia proprio le disposizioni del menzionato art. 113 (cfr. comma 1°)- consente agli enti locali di affidare direttamente, e perciò senza alcun confronto concorrenziale, la gestione dei servizi pubblici locali o di loro segmenti a soggetti da loro distinti, che abbiano la proprietà delle reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali all’uopo necessari. Deve ritenersi che le reti, gli impianti e le altre dotazioni patrimoniali richiamati dal legislatore, vadano individuati in quelle infrastrutture fisse, complesse e non facilmente riproducibili (quali le linee ferroviarie, i gasdotti, le reti idriche, quelle telefoniche, ecc.) che attengono ai settori del trasporto, dell’energia e delle telecomunicazioni, e non siano da confondere con le attrezzature mobili, ove del caso deperibili ed agevolmente duplicabili, come sono quelle che afferiscono allo svolgimento del servizio di igiene urbana, nei suoi specifici segmenti relativi alla raccolta ed al trasporto dei rifiuti. Deve, poi, trattarsi di infrastrutture inamovibili che appartengano ad un soggetto estraneo all’ente locale e di cui quest’ultimo non possa dotarsi, se non con rilevante e non conveniente dispendio di risorse finanziarie e strumentali.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 23/01/2008 n. 147
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

A seguito dell’entrata un vigore della disciplina sul certificato di regolarità contributiva, dettata dall’art.2 del D.L. 25 settembre 2002 n. 210 , così come modificato dalla legge di conversione 22 novembre 2002 n. 266 e dall’art. 3, comma 8 lett. b-bis) del D. Lgs. 14 agosto 1996 n. 494, lettera aggiunta dall’art. 86, comma 10, del D. Lgs. 10 settembre 2003 n. 276, la verifica della regolarità contributiva non è più di competenza delle stazioni appaltanti, ma è demandata agli enti previdenziali. La stazione appaltante in una siffatta situazione non deve dunque far altro che prendere atto della certificazione senza poter in alcun modo sindacarne le risultanze (come avviene del resto con riferimento a qualsiasi certificazione acquisita per comprovare requisiti, il cui accertamento è affidato ad altre amministrazioni).

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 23/11/2007 n. 6006
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

Nell’ambito di una procedura di gara indetta da un comune per la scelta del socio privato di minoranza della società da costituire per la gestione della farmacia comunale, è legittima l’esclusione del concorrente per l’inidoneità urbanistica dei locali individuati come sede farmaceutica. Infatti, tale inidoneità non incide sulla valutazione delle offerte e, quindi, sull’attribuzione del punteggio, ma costituisce impedimento di fatto all’apertura della farmacia, senza che possa ritenersi utile la domanda di variazione di destinazione d’uso, in quanto fatta dopo la presentazione delle offerte, considerato che sussiste un impedimento strutturale, sotto forma di altezza minima richiesta dal regolamento edilizio, che preclude la possibilità di ipotizzare una variazione di destinazione d’uso successiva all’eventuale aggiudicazione.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 23/10/2007 n. 5587
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

E’ utile che l’Adunanza Plenaria si pronunci sulla premessa interpretativa concernente la necessità di una rigorosa limitazione temporale del rapporto sociale nel caso di società miste. Al riguardo, infatti, sussistono alcuni dubbi dottrinari circa la compatibilità del modulo societario con una così stretta inerenza allo svolgimento dell’attività operativa della prestazione del servizio. Ancora, il ricorso al modello della società mista dovrebbe essere limitato ai soli casi in cui esista un concreto riferimento allo svolgimento di attività e funzioni pubbliche. È opportuno che l’Adunanza Plenaria chiarisca la portata di questo requisito. Infatti, in una prospettiva “minima”, esso indica la necessità che l’oggetto sociale sia comunque compatibile con le finalità statutarie pubblicistiche dell’ente che intende istituire la società. Ma il riferimento all’attività pubblicistica potrebbe anche indicare un più rigoroso accertamento della connessione tra la funzione svolta e l’esercizio di poteri pubblicistici in senso stretto. In tal modo, allora, la società mista sarebbe difficilmente ammissibile nei casi di attività “neutre”, quali la prestazione di servizi destinati, con le stesse caratteristiche oggettive, a soggetti pubblici e privati.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 23/10/2007 n. 5587
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

Peraltro, potrebbe essere utile che l’Adunanza Plenaria puntualizzi, preventivamente, in linea di diritto e alla stregua dell’ordinamento europeo e nazionale, le condizioni prescritte per il legittimo affidamento in house, considerando che, in precedenti occasioni, si era ritenuto ammissibile in giurisprudenza l’affidamento a società in cui la partecipazione pubblica era limitata al 51%, a condizione che fosse riscontrata la presenza del requisito del “controllo analogo”. Potrebbe essere opportuno, inoltre, delineare le coordinate di riferimento del concetto di prevalenza dell’attività svolta per l’amministrazione affidante, talvolta incentrate sulla metà del fatturato complessivo della società, altre volte su requisiti più rigorosi. In tale prospettiva, poi, è utile considerare se il concetto di prevalenza debba essere calcolato tenendo conto, o meno, dell’obbligo di dismissione delle attività svolte per il mercato e non per l’amministrazione di riferimento, imposta dall’art. 13 del decreto legge n. 223/2006.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 23/10/2007 n. 5587
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

Sulla base dei più recenti indirizzi interpretativi della Corte di Giustizia , le società in house, cui è legittimamente affidabile l’espletamento di un servizio, senza gara, sono solo quelle: il cui capitale è interamente pubblico; sulle quali l’ente o gli enti pubblici titolari del capitale pubblico esercitano un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; che realizzano la parte più importante della loro attività con l’ente o con gli enti pubblici che le controllano. Si è chiarito, in dottrina, che il requisito della “totale partecipazione pubblica”, definito dalla giurisprudenza comunitaria più recente, si giustifica con la circostanza che non può essere considerato un organismo appartenente all’organizzazione della pubblica amministrazione una società al cui capitale partecipino soci privati. L’affidamento diretto di un pubblico servizio a una società in house può, invero, ammettersi solo se non vi sia il coinvolgimento degli operatori economici (ancorché in modesta percentuale) nell’esercizio del servizio, posto che, diversamente, dovrebbero trovare applicazione le regole della concorrenza previste dal diritto comunitario e da quello interno da esso derivato. Inoltre, come ha stabilito la Corte di giustizia con la sentenza 11 gennaio 2005, in C-26/03, Stadt Halle, la partecipazione, anche minoritaria, di un’impresa privata al capitale di una società alla quale partecipi anche l’amministrazione aggiudicatrice esclude in ogni caso che tale amministrazione possa esercitare sulla detta società un controllo analogo a quello che essa esercita sui propri servizi: l’influenza, per quanto penetrante, non corrisponderebbe mai a quella esistente nell’ambito dei rapporti interorganici della stessa amministrazione. Difettano tutti e tre gli indicati requisiti, se nella società: vi è una significativa partecipazione privata; non sono stati indicati elementi idonei a comprovare l’esistenza di altre forme di controllo dell’amministrazione particolarmente incisive; la società svolge una pluralità di attività, anche se alcune di esse formano oggetto di dismissione, ai sensi dell’art. 13 del decreto legge n. 223/2006.

TAR Firenze, Sezione II – Sentenza 18/05/2007 n. 762
d.lgs 163/06 Articoli 1 – Codici 1.1

Va esclusa la sussistenza del controllo analogo nel caso in cui l’ente locale è titolare soltanto dell’1% del capitale della società affidataria, percentuale di assoluta minoranza. Tale dato di fatto già rende impossibile al comune l’esercizio nei confronti della società affidataria del “controllo analogo” a quello esercitato sui propri uffici, dato che lo statuto, all’art. 16 (Decisioni dei soci-quorum) dispone espressamente che “le decisioni assembleari sono adottate con il voto favorevole dei soci che rappresentino i quattro quinti del capitale sociale”.

TAR Lecce – Sentenza 24/05/2011 n. 914
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

Con riguardo alle società miste con partecipazione pubblico-privata, gli strumenti di controllo da parte dell’ente pubblico sono posti a presidio dell’interesse pubblico, in considerazione del rapporto di strumentalità tra le attività dell’impresa e le esigenze pubbliche che l’ente controllante è chiamato a soddisfare, e non già a tutela della posizione del socio privato. Quest’ultimo, ove ritenga che gli atti di gestione societaria siano lesivi della propria sfera giuridica, non può che ricorrere al giudice ordinario, e ciò è tanto più evidente quando, come nel caso di specie, il socio privato contesta l’azione degli organi societari per violazione di atti di natura pattizia stipulati antecedentemente alla formazione della società con il socio (pubblico) di maggioranza.

Corte di Cassazione, sezione civile, Sezione Sezioni Unite – Sentenza 09/05/2011 n. 10068
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

La disciplina dettata dal Dlgs. 163/2006 non si applica esclusivamente ai contratti pubblici di lavoro, servizi e forniture di importo superiore alla soglia comunitaria, ma, in parte, anche a quelli sotto soglia. L’art. 121 del citato D.Lgs. dispone, infatti, che ai contratti pubblici aventi per oggetto lavori, servizi, forniture, di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria, si applicano oltre alle disposizioni della parte 1^, della parte 4^ e della parte 5^, anche le disposizioni della parte 2^, in quanto non derogate dalle norme del presente titolo 2^. Detto articolo, pertanto, opera una sostanziale unificazione della disciplina dei contratti sopra soglia comunitaria con quelli sotto soglia, sancendo l’applicabilità a quest’ultimi di gran parte delle norme del codice dei contratti. Tra le norme di applicazione generale, valevoli anche per i contratti sotto soglia di particolare rilievo, per il caso che ne occupa, è il D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 244 contenuto nel titolo 4^ sul contenzioso, richiamato dal menzionato art. 121, il quale demanda alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente, ad applicare la normativa comunitaria o ad osservare i procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale o regionale. Il fatto che anche i contratti sotto soglia soggiacciono ai principi fondamentali dell’ordinamento comunitario ed ai principi generali che governano la materia dei contratti pubblici, porta a concludere che la controversia in questione rientra nell’ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo.

Consiglio di Stato, Sezione IV – Sentenza 11/04/2011 n. 2222
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

Nel comma 9 dell’art. 23-bis, d.l. n. 112/2008 l’espressione “ovvero ai sensi del comma 2, lettera b)” non va interpretata nel senso di equiparare agli affidamenti diretti ed a quelli scaturiti da procedure non ad evidenza pubblica quelli operati a favore di “società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio, e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento” (art. 23-bis, comma 2, lett. b), cit.), giacchè detti affidamenti a società mista costituita sono, ai fini della tutela della concorrenza e del mercato, del tutto equivalenti a quello attuato mediante pubblica gara, per cui sarebbe irragionevole ed immotivata, anche alla luce dei principi dettati dall’Unione europea in materia [v. comunicazione interpretativa della Commissione sull’applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici (p.p.p.i.) 2008/C91/02 in G.u. U.e. del 12 aprile 2008], l’applicazione nei confronti di società della specie del divieto di partecipazione alle gare bandite per l’affidamento di servizi diversi da quelli in atto. Dunque, il divieto di cui al comma 9 dell’art. 23-bis opera solo per le società che già gestiscono servizi pubblici locali a seguito di affidamento diretto o, comunque, a seguito di procedura non ad evidenza pubblica, rientrando nel concetto di evidenza pubblica (“ovvero”) anche le forme previste dal comma 2, lett. b), dell’art. 23-bis.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 08/03/2011 n. 1447
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

Nel caso di affidamento in house, conseguente all’istituzione da parte di più enti locali di una società di capitali da essi interamente partecipata per la gestione di un servizio pubblico, il controllo analogo a quello che ciascuno di essi esercita sui propri servizi, deve intendersi assicurato anche se esercitato non individualmente ma congiuntamente dagli enti associati, deliberando se del caso anche a maggioranza, ma a condizione che il controllo sia effettivo. Il requisito del controllo analogo deve essere quindi verificato secondo un criterio sintetico e non atomistico, sicché è sufficiente che il controllo della mano pubblica sull’ente affidatario, purché effettivo e reale, sia esercitato dagli enti partecipanti nella loro totalità, senza che necessiti una verifica della posizione di ogni singolo ente. Sulla base dei principi espressi dal giudice comunitario (Corte di Giustizia 13 novembre 2008, causa C-324-07) ai fini della configurabilità del “controllo analogo”, non è necessaria la ricorrenza, in capo ad un socio pubblico, di un potere di controllo individuale del singolo socio affidante sulla società-organo assimilabile a quello, individuale, delineato dai primi due commi dell’art. 2359 c.c.. Il controllo della mano pubblica sull’ente affidatario deve essere effettivo, ancorché esercitato congiuntamente e, deliberando a maggioranza, dai singoli enti pubblici associati. Il diritto amministrativo italiano annovera diverse forme associative tra enti pubblici, anche per finalità di gestione in comune di pubblici servizi (si considerino, ad esempio, i consorzi di cui all’ art. 31 del D.Lgs. n. 267/2000), in cui il controllo da parte del singolo ente sull’attività svolta, nell’interesse comune, dalla specifica forma associativa non è “individuale”, ma intermediato e, quindi, inevitabilmente attenuato dall’applicazione delle regole sul funzionamento interno dell’istanza associativa. Occorre verificare, in particolare, che il consiglio di amministrazione della società di capitali affidataria in house non abbia rilevanti poteri gestionali di carattere autonomo e che la totalità dei soci pubblici eserciti, pur se con moduli societari su base statutaria, poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario, sicché risulta indispensabile, che le decisioni più importanti siano sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante o, in caso di in house frazionato – come nella fattispecie in esame –, della totalità degli enti pubblici soci.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 11/01/2011 n. 77
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

Mentre i divieti e gli obblighi imposti dall’art.13, commi 1 e 2, del D.L.223/2006 (con la sanzione, prevista dal successivo comma 4, della nullità dei contratti stipulati in violazione di detti divieti e di detti obblighi) trovano una ben ragionevole giustificazione per le società c.d. strumentali, non altrettanto ragionevole nè fondata (soprattutto in base alla “ratio” della predetta norma) appare l’applicazione della stessa anche per quelle società c.d. “miste” (partecipate da soggetti pubblici e privati) che, pur non avendo un oggetto sociale esclusivo circoscritto come tale alla sola operatività con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti (e quindi svolgendo sia servizi pubblici locali, sia altri servizi e forniture di beni a favore degli enti pubblici e privati partecipanti nonché a favore di altri enti o loro società o aziende pubbliche e private), operano comunque nel pieno rispetto delle regole di concorrenza imposte dal mercato ed altresì nel pieno rispetto delle regole previste per le procedure di affidamento dei contratti pubblici. Deve ribadirsi che le società miste che svolgono servizi pubblici locali non devono necessariamente avere un oggetto sociale esclusivo e limitato soltanto allo svolgimento di detti servizi. Ciò perché tali società, in quanto soggetti giuridici di diritto privato, devono comunque operare sul mercato nel pieno rispetto delle regole della concorrenza e possono conseguire l’aggiudicazione di detti servizi pubblici locali solo nel rispetto delle ulteriori regole previste per i contratti pubblici.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 16/10/2010 n. 7533
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

Deve ritenersi non legittimamente impugnabile la delibera che non ha dato luogo alla costituzione di una società pubblica mista, ma al mero acquisto di una partecipazione di minoranza, e che non consenta di rilevare, rispetto a tale acquisto, la decisione del comune di procedere, in futuro, all’affidamento senza gara del servizio in questione attesa la varietà dei servizi richiamati nell’oggetto sociale. L’acquisizione nel caso di specie di una partecipazione azionaria di una società costituita in precedenza, ancorché avente ad oggetto la gestione dei rifiuti, non è sufficiente a legittimare l’affidamento diretto e ad escludere la necessità della gara. L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 1 del 2008 ha chiarito i limiti dell’affidamento diretto alle società miste ai sensi dell’art 113, comma 5, lett. b), del D.Lvo 267/00. Premesso che il principio generale è sempre quello della gara, e che l’affidamento diretto è sempre una deroga a tale principio, deroga consentita in casi di stretta interpretazione, la società mista si giustifica quale forma di partenariato pubblico-privato costituito per la gestione di uno specifico servizio per un tempo determinato. In altri termini, non si ha in questi casi una esenzione dal principio della gara, ma muta l’oggetto della gara, che deve sempre essere esperita ma non più per trovare il terzo gestore del servizio, bensì il partner privato con cui gestire il servizio. E’ evidente quindi che le società miste cosiddette aperte, costituite cioè per finalità specifiche ma indifferenziate, non possono essere affidatarie dirette in quanto non soddisfano le condizioni a cui è ancorata la deroga.

TAR Emilia Romagna, Sezione I – Sentenza 29/01/2010 n. 460
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

L’art. 113 TUEL, nella sua attuale formulazione, vigente nella parte non in contrasto con l’art. 23 bis del D.L. 112/08, non prevede l’affidamento diretto come modalità di gestione di un servizio pubblico a rilevanza economica (nella specie: gestione e manutenzione di lampade votive all’interno dei cimiteri comunali. Vedasi sulla natura del servizio le sentenze del Consiglio di Stato 1600 e 6049 del 2008 ). L’art. 23 bis del D.L. 112/08 così recita ai commi 2 e 3: “Il conferimento della gestione dei servizi pubblici locali avviene, in via ordinaria: a) a favore di imprenditori o di società in qualunque forma costituite individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato che istituisce la Comunità europea e dei principi generali relativi ai contratti pubblici e, in particolare, dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, trasparenza, adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento e proporzionalità; b) a società a partecipazione mista pubblica e privata, a condizione che la selezione del socio avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto dei principi di cui alla lettera a), le quali abbiano ad oggetto, al tempo stesso, la qualità di socio e l’attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla gestione del servizio e che al socio sia attribuita una partecipazione non inferiore al 40 per cento. In deroga alle modalità di affidamento ordinario di cui al comma 2, per situazioni eccezionali che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato, l’affidamento può avvenire a favore di società a capitale interamente pubblico, partecipata dall’ente locale, che abbia i requisiti richiesti dall’ordinamento comunitario per la gestione cosiddetta in house e, comunque, nel rispetto dei principi della disciplina comunitaria in materia di controllo analogo sulla società e di prevalenza dell’attività svolta dalla stessa con l’ente o gli enti pubblici che la controllano. Un così chiaro dettato normativo trova giustificazione nella necessità di applicare la disciplina comunitaria ai servizi pubblici locali a rilevanza economica

TAR Milano, Sezione I – Sentenza 11/01/2010 n. 8
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

La giurisprudenza ha già avuto modo di chiarire che “anche le società miste che hanno per oggetto la gestione dei servizi pubblici locali, pur non rientrando in via diretta nell’ambito di applicazione del secondo comma dell’art. 13 D.L. n. 223/2006, devono avere oggetto sociale esclusivo. Se, infatti, sono assoggettate a tale prescrizione le società di cui al comma 1, ossia le società che svolgono (attività di produzione di beni e) servizi strumentali, le quali pertanto non possono comprendere nel loro oggetto sociale lo svolgimento di servizi pubblici locali, ne deriva come conseguenza che anche le società miste, le quali intendano dedicarsi alla gestione di questi ultimi, devono prevedere quale loro oggetto sociale esclusivo la gestione dei servizi pubblici locali. Del resto, ove non si ritenga condivisibile tale soluzione interpretativa, occorrerebbe ammettere che il divieto introdotto dal comma 1 dell’art. 13 sarebbe inapplicabile in tutte le ipotesi di società miste che nel loro oggetto sociale abbiano incluso sia servizi strumentali che servizi pubblici locali. In tale prospettiva, la semplice presenza di tale ultima attività renderebbe operante l’eccezione al divieto (di cui all’inciso «con esclusione dei servizi pubblici locali»). Ma questa appare una lettura inaccettabile poiché priva la disposizione in esame di qualsiasi significato normativo” (T.A.R. Sardegna sez. I, 11 luglio 2008 , n. 1371). Una società operativa sia nel settore dei servizi pubblici locali sia in quello dei servizi strumentali a favore dell’ente pubblico partecipante ricade pertanto nel divieto di partecipazione di cui all’art. 13 cit.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 16/06/2009 n. 3920
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

Sulla base di quanto sancito dall’art. 113, comma 6, del D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, non sono ammesse a partecipare alle gare per l’affidamento dei servizi pubblici locali di rilevanza economica “le società che in Italia o all’estero, gestiscono a qua-lunque titolo servizi pubblici locali in virtù di un affidamento diretto, di una procedura non ad evidenza pubblica o a seguito dei relativi rinnovi; tale divieto si estende alle società controllate o collegate, alle loro controllanti, nonché alle società controllate o collegate con queste ultimi; sono parimenti esclusi i soggetti di cui al comma 4”(gestori delle reti). La società aggiudicataria, laddove risulti già affidataria diretta da parte di un ente locale della gestione dell’impianto di discarica sita nel territorio dell’ente medesimo, non può legittimamente essere ammessa alla gara di cui trattasi.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 12/06/2009 n. 3767
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

Deve ritenersi legittima la partecipazione ad una gara di una società mista già affidataria di servizi pubblici locali. L’azienda mista (a differenza dell’azienda speciale la cui natura strumentale ed il cui regime normativo pretendono un collegamento molto saldo, seppur di natura funzionale, tra l’attività dell’azienda stessa e le esigenze della collettività stanziata sul territorio dell’ente che l’ha costituita) è innanzitutto un soggetto imprenditoriale, rientrante nello schema organizzativo gestionale proprio delle società di capitali e, pertanto, non sottoposto alle limitazioni territoriali di attività cui soggiacciono le aziende speciali. La giurisprudenza, pur ponendo a carico della società mista l’onere di dimostrare che l’assunzione del nuovo servizio non comporta conseguenze negative sulla qualità e l’efficienza del servizio già in atto presso la collettività di cui è esponente l’ente locale partecipante, non ha però messo in discussione la legittimazione della società mista già affidataria di servizio pubblico locale, a partecipare ad una procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento di un nuovo appalto di servizio pubblico locale. Da una lettura sistematica del quadro normativo generale di riferimento, sia di ordine comunitario che interno, la giurisprudenza evince come sussista per la società un obbligo di dimostrare specificamente la compatibilità del nuovo appalto con i rapporti di servizio già in essere. Ove la commissione non sia stata messa nella condizione di effettuare tale riscontro, o comunque non lo abbia effettuato, la ammissione alla gara dell’offerta avanzata dalla società mista sarebbe illegittima. Il Collegio osserva come l’orientamento giurisprudenziale cui, ove la commissione non sia stata messa nella condizione di effettuare tale riscontro, o comunque non lo abbia effettuato, la ammissione alla gara dell’offerta avanzata dalla società mista sarebbe illegittima, si risolve in una dilatazione del vincolo degli impegni assunti con la comunità territoriale di origine che appare impropria e non coerente con la ragion d’essere del vincolo stesso. La commissione giudicatrice di una pubblica gara deve curare l’interesse, di cui è portatore l’ente che bandisce la gara, a che le concorrenti propongano di svolgere il servizio da appaltare secondo offerte che ne garantiscano una perfetta esecuzione. In assenza di una previsione di legge generale o di lex specialis, è arduo rinvenire un valido titolo giuridico che abiliti l’ente affidante, e per esso la commissione di gara, ad esprimere una qualche valutazione sul rapporto, cui è estraneo, tra l’ente (o gli enti) costituenti o partecipanti e la società mista, e sulla capacità di questa di rispettare gli impegni assunti con l’area di riferimento. Né risulta chiarito come potrebbe ritenersi legittima, e conforme al principio del buon andamento, ossia agli interessi della comunità di cui l’ente affidante è esponente, una determinazione di inammissibilità di una offerta avanzata da società mista che, alla stregua del bando e del capitolato, risulti conveniente, plausibile e non anomala, e la cui esclusione sia giustificata con la sottrazione di risorse in danno degli enti che hanno proposto l’offerta, i quali, a loro volta, nell’interesse delle comunità di riferimento, hanno ritenuto utile partecipare alla gara.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 12/06/2009 n. 3766
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

Possono definirsi strumentali all’attività di tali enti in funzione della loro attività, con esclusione dei servizi pubblici locali, tutti quei beni e servizi erogati da società a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica di cui resta titolare l’ente di riferimento e con i quali lo stesso ente provvede al perseguimento dei suoi fini istituzionali. Le società strumentali sono, quindi, strutture costituite per svolgere attività strumentali rivolte essenzialmente alla pubblica amministrazione e non al pubblico, come invece quelle costituite per la gestione dei servizi pubblici locali che mirano a soddisfare direttamente ed in via immediata esigenze generali della collettività (cons. Stato, Sez. V, dec. 14 aprile 2008 n.1600).

TAR Torino – Sentenza 10/04/2009 n. 1019
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

Spetta alle ATO individuare la figura gestoria più opportuna mediante la quale provvedere all’erogazione de servizio idrico integrato. Siffatta individuazione deve, peraltro, per volontà espressa del legislatore, seguire il solco del vecchio art. 22 della L. m. 142/1990, poi trasfuso e rivisto nell’art, 113 del d.lgs. n. 267/2000, variamente modificato dalle leggi di settore. Di talché le figure gestorie ipotizzabili sono costituite dal modello societario, o di capitali, previa individuazione attraverso procedure ad evidenza amministrativa, o a capitale misto pubblico – privato o a capitale interamente pubblico. Il nuovo assetto ordinamentale, nel quale campeggia la figura istituzionale dell’Autorità di Ambito, ha privato il Comune dei suoi poteri di regolazione e di definizione del modulo gestionale più appropriato alle necessità erogative del servizio. Il Comune non è più competente e legittimato a costituire alcuna società a cui affidare, con gara o meno, la gestione del servizio idrico, il quale è totalmente di competenza dell’Autorità di Ambito. Ne consegue che l’avvenuta costituzione, in concorrenza con l’Autorità, di una società ad hoc da parte dei Comuni intimati, quantunque a totale partecipazione pubblica locale, integra un vulnus del dettato legislativo di riferimento, più sopra sommariamente ricostruito.

TAR Firenze, Sezione I – Sentenza 13/03/2009 n. 417
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

Nel delimitare l’ambito di propria applicazione l’art. 13 del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito in legge 4 agosto 2006, n. 248, oltre a far riferimento alle “società, a capitale interamente pubblico o misto, costituite o partecipate dalle amministrazioni pubbliche regionali o locali”, pone in luce come le suddette società devono avere come oggetto, alternativamente, o “la produzione di beni e servizi strumentali all’attività di tali enti” ovvero “lo svolgimento esternalizzato di funzioni amministrative di loro competenza” ove consentito. Si tratta di un punto importante. La norma in esame detta come prima e più significativa prescrizione per le società pubbliche da essa disciplinate quella di “operare esclusivamente con gli enti costituenti o partecipanti o affidanti “, con il corollario che le società stesse “non possono svolgere prestazioni a favore di altri soggetti pubblici o privati, né in affidamento diretto né con gara”. La ratio legis indicata dallo stesso art. 13 nel suo incipit – evitare alterazioni o distorsioni della concorrenza e assicurare la parità tra gli operatori – trova la sua principale esplicazione nella precisa delimitazione del ruolo delle società costituite o comunque partecipate dagli enti locali per la produzione in house di beni e servizi strumentali alla loro attività, delimitazione realizzata attraverso la imposizione di una corrispondenza soggettiva tra enti pubblici titolari del capitale sociale, ed esercitanti il c.d. “controllo analogo”, ed enti beneficiari delle prestazioni delle società. In altre parole il significato precipuo della normativa è questo: è ben possibile che gli enti pubblici costituiscano società in house per lo svolgimento di attività strumentale, e nel far questo possono sottrarsi alle procedure di gara, però poi le società che ne derivano dovranno operare solo per gli enti che le hanno generate, non potendo utilizzare il vantaggio che deriva loro da quella particolare origine, e dallo svolgimento privilegiato delle attività per conto degli enti costituenti, per partecipare a procedure di affidamento da parte di altri soggetti pubblici in condizione di solo apparente concorrenza con gli altri operatori economici.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 13/02/2009 n. 824
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

In ordine alla problematica per la quale gli appalti pubblici possano essere affidati a società miste in via diretta, o se occorra seguire procedure di evidenza pubblica, si deve necessariamente distinguere l’ipotesi di costituzione di una società mista per una specifica missione, sulla base di una gara che abbia per oggetto sia la scelta del socio che l’affidamento della specifica missione, dall’ipotesi in cui si intendano affidare ulteriori appalti ad una società mista già costituita. Con riferimento al primo caso, a seguito di una complessa evoluzione, la giurisprudenza nazionale (cfr. da ultimo Cons. St., ad.plen., 3 marzo 2008, n. 1; sez. V, 23 ottobre 2007, n. 5587; sez. II, 18 aprile 2007, n. 456/07) e comunitaria (cfr. Corte giust. CE, sez. I, 11 gennaio 2005, n. C-26/03) è pervenuta alla conclusione che, nel rispetto di precisi paletti, è sufficiente una unica gara. Nel secondo caso, invece, occorre una gara per l’affidamento degli appalti ulteriori e successivi rispetto all’originaria missione. Già prima del d.lgs. n. 163 del 2006, sembrava preferibile la soluzione secondo cui, limitatamente ai lavori e servizi specifici e originari, per i quali fosse stata costituita la società, fosse sufficiente una sola procedura di evidenza pubblica, e dunque bastasse quella utilizzata per la scelta dei soci privati, da intendersi come finalizzata alla selezione dei soci più idonei anche in relazione ai lavori e servizi da affidare alla società. Tale soluzione è stata sostanzialmente recepita dal d.lgs. n. 163 del 2006 c.d. codice dei contratti pubblici. Dispone infatti l’art. 32, co. 3, del d.lgs. n. 163 cit., che le società miste non sono tenute ad applicare le disposizioni del medesimo d.lgs. (e dunque non sono tenute a seguire procedure di evidenza pubblica), limitatamente alla realizzazione dell’opera pubblica o alla gestione del servizio per i quali sono state specificamente costituite, se ricorrono le condizioni specificamente indicate dalla norma. Ne discende che la società mista opera nei limiti dell’affidamento iniziale e non può ottenere senza gara ulteriori missioni che non siano già previste nel bando originario. Con riferimento alla materia degli appalti e delle concessioni in caso di partenariato pubblico – privato, anche la Commissione europea, con la comunicazione 5 febbraio 2008, si è mossa lungo la medesima traiettoria argomentativa, affermando che sia sufficiente una sola procedura di gara se la scelta del partner oggetto di preventiva gara è limitata all’affidamento della missione originaria, il ché si verifica quando la scelta di quest’ultimo è accompagnata sia dalla costituzione del partenariato pubblico privato istituzionale (id est attraverso la costituzione di società mista), sia dall’affidamento della missione al socio operativo. Non è dunque ammissibile una società mista <<aperta>> o <<generalista>> cui affidare in via diretta, dopo la sua costituzione, un numero indeterminato di appalti o di servizi pubblici.Deve pertanto ritenersi superata una relativamente recente pronuncia del Consiglio di Stato (sez. V, 3 febbraio 2005 n. 272) che ha ritenuto legittima la concessione senza gara del servizio pubblico di mensa scolastica ad una società mista a capitale pubblico maggioritario, in una ipotesi in cui la società era stata costituita nel 1999 e l’affidamento senza gara era avvenuto in via diretta nel 2003: la circostanza che si trattava di concessione e non di appalto e che il capitale pubblico fosse maggioritario, non fa venire meno la necessità di un affidamento con procedura di evidenza pubblica.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 28/10/2008 n. 5392
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

La scelta del socio, secondo principi divenuti ormai “ius receptum”, non si può sottrarre ai principi di concorrenzialità e di par condicio, sia che si tratti di società miste di maggioranza che di società miste di minoranza, indipendentemente dalla esistenza di specifiche norme, essendo ormai considerato immanente nell’ordinamento il principio dell’evidenza pubblica ogni qualvolta occorra individuare un operatore privato al quale affidare attività per conto e nell’interesse della pubblica amministrazione.

Consiglio di Stato, Sezione VI – Sentenza 23/09/2008 n. 4613
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

Condizione perché possa essere ritenuto legittimo il ricorso alla scelta del socio, al fine della costituzione di una società che divenga affidataria dell’esecuzione dell’opera senza necessità di gara, è, secondo il predetto parere, che attraverso la procedura non si realizzi un affidamento diretto alla società mista, ma piuttosto un affidamento con procedura di evidenza pubblica dell’attività operativa della società mista al partner privato, tramite la stessa gara volta all’individuazione di quest’ultimo. Il modello, in altre parole, trae la propria legittimità dalla circostanza che la gara ad evidenza pubblica per la scelta del socio privato abbia ad oggetto, al tempo stesso, l’attribuzione dei compiti operativi e quella della qualità di socio.

Consiglio di Stato, Sezione VI – Sentenza 11/07/2008 n. 3499
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

La Corte di Giustizia CE ha precisato che il principio di parità di trattamento non è violato per il solo fatto che l’amministrazione aggiudicatrice ammette a partecipare ad una procedura di aggiudicazione organismi che ricevono, da essa stessa o da altre amministrazioni aggiudicatici, sovvenzioni, indipendentemente dalla loro natura (Corte Giust. CE, 7 dicembre 2000, in C 44/99) o che sono da essa partecipati (Corte Giust. CE, 11 gennaio 2005, C-26/03). Le garanzie offerte dalla procedura dell’evidenza pubblica valgono, infatti, ad escludere che la partecipazione all’interno della società da parte dell’ente pubblico che bandisce la gara possa rappresentare, di per sé, un fattore distorsivo della concorrenza e, quindi, offrire alla società partecipata un illegittimo vantaggio a scapito delle altre imprese. In assenza di prove in ordine a specifiche violazione delle regole di evidenza pubblica, deve escludersi che la mera partecipazione dell’ente pubblico ad una società concorrente rappresenti un elemento tale da pregiudicare la regolarità della gara.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 25/05/2008 n. 4080
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

Il modello della società mista non avrebbe carattere ordinario nel nostro sistema, costituendo piuttosto un’eccezione alla regola dell’integrale ricorso al mercato da parte dell’amministrazione, dovendosi fare decisa applicazione, anche in questa materia, del principio di sussidiarietà orizzontale (già invocato in precedenza, con riferimento all’in house, dall’Autorità garante della concorrenza e del mercato nella segnalazione del 28 dicembre 2006, n. AS 375). Tutto ciò rappresenta una novità rispetto alla posizione delle istituzioni comunitarie, orientate — almeno finora — per la piena alternatività tra autoproduzione ed esternalizzazione (nella gestione) del servizio. Questo approdo tiene conto in modo palese delle recenti tendenze legislative nazionali ed in particolare del ricordato art. 13 d.l. n. 223 del 2006, le cui norme stabiliscono, anzi, a carico delle società pubbliche che producono beni o servizi strumentali al funzionamento delle amministrazioni regionali e locali (non, quindi, le società di gestione dei servizi pubblici locali), un vero e proprio vincolo di esclusività e non di «semplice» prevalenza, attraverso il rigido divieto di svolgere prestazioni a favore di soggetti pubblici e privati diversi dagli enti costituenti ed affidanti e l’obbligo di cessare entro ventiquattro mesi le attività non più consentite.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 25/05/2008 n. 4080
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

Prima dell’entrata in vigore dell’art. 13, d.l. n. 223 del 2006, la giurisprudenza amministrativa si è attestata sul principio in base al quale le società miste, pur legittimate in via di principio a svolgere la propria attività anche al fuori del territorio del comune dal quale sono state costituite, in quanto munite dal legislatore di capacità imprenditoriale, fossero pur sempre tenute, per il vincolo genetico-funzionale che le lega all’ente di origine, a perseguire finalità di promozione dello sviluppo della comunità locale di emanazione. Si è chiarito che il vincolo funzionale che la norma istitutiva ha implicitamente imposto alle imprese miste va confrontato con l’impegno extraterritoriale richiesto in concreto e inibisce tale attività quando diventino rilevanti le risorse e i mezzi eventualmente distolti dalla attività riferibile alla collettività di riferimento senza apprezzabili utilità per queste ultime. Si tratta, in definitiva, di verificare che l’impegno da assumere non comporti una distrazione di mezzi e risorse tali da arrecare pregiudizio alla predetta collettività, in sostanza la necessità di una concreta verifica intesa ad accertare se l’impegno extraterritoriale eventualmente non distolga, e in caso positivo in che rilevanza, risorse e mezzi, senza apprezzabili ritorni di utilità (anch’essi da valutarsi in relazione all’impegno profuso e agli eventuali rischi finanziari) per la collettività di riferimento.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 05/03/2008 n. 946
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

La scelta del legislatore di applicare le disposizioni di cui all’art. 13 del d.l. n. 223 del 2006 alle società a capitale misto trova il proprio fondamento nel dichiarato intento di tutelare in via primaria l’interesse pubblico su quello privato, rafforzando e tutelando il libero gioco della concorrenza, assicurando una effettiva parità tra tutti gli operatori economici. Da un lato, quindi, l’intervento del legislatore risulta in concreto pienamente conforme al dettato costituzionale essendo rivolto non già a limitare la concorrenza, ma a salvaguardarla in maniera rigorosa, eliminando posizioni di privilegio innegabilmente riconoscibili alle società “pubbliche” a scapito degli operatori privati, allorché operino, come nella specie, quale ente “strumentale” dell’ente pubblico di riferimento, fruendo comunque dei vantaggi inerenti alla stretta contiguità con il detto ente pubblico. Dall’altro lato, poi, va opportunamente ricordato che è la stessa Unione Europea ad aver previsto la necessità per gli Stati membri di provvedere alla regolamentazione dell’accesso al mercato degli appalti pubblici da parte di organismi di proprietà o partecipati da enti pubblici, proprio per evitare distorsioni della concorrenza nei confronti dei soggetti privati (cfr. Direttiva 2004/18/CE del 31 marzo 2004).

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 23/01/2008 n. 129
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

Le società di capitale miste, costituite fra un Comune ed un privato, a norma dell’art. 22 L. n. 142 del 1990, sono soggetti giuridici distinti dal Comune che vi partecipa senza ripeterne la natura pubblica (come, al contrario, le Aziende municipalizzate trasformate in forma societaria) e sono soggette (al pari di ogni altro operatore privato) ai controlli ed alle autorizzazioni necessari per lo svolgimento delle attività aziendali, delle quali, in ragione della propria autonoma soggettivà, devono assumere iniziativa e titolarità.

TAR Torino, Sezione II – Sentenza 04/06/2007 n. 2539
d.lgs 163/06 Articoli 1, 244 – Codici 1.2, 244.1

La scelta del socio privato con gara garantisce che la concorrenza sia stata rispettata quando è chiaro che il socio è selezionato proprio per svolgere una specifica attività ovvero più attività all’interno di un unico settore (ad esempio quello sanitario), ma quando il bando di gara ovvero l’oggetto sociale non delimitano a sufficienza l’attività da svolgere che si presenta in modo ampio e variegato non è possibile affermare che la sola indizione di una gara per la scelta del socio (peraltro risalente nel tempo al momento della costituzione della società mista) abbia la stessa efficacia, in termini di rispetto dei principi della concorrenza, rispetto alla gara effettuata per l’aggiudicazione del singolo settore di attività.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 07/04/2009 n. 2147
d.lgs 163/06 Articoli 2, 38, 81 – Codici 2, 38.1, 81.1

Secondo la giurisprudenza è opportuno mettere in evidenza la distinzione fra “requisiti di ammissione delle domande e valutazione di merito”. Ed invero, la giurisprudenza domestica ha, più volte, censurato la commistione tra elementi soggettivi di qualificazione del concorrente ed elementi oggettivi attinenti alla qualità dell’offerta: cfr. Cons. Stato, sez. V, 15 giugno 2001, n. 3187. Così, in via esemplificativa, è stata censurata la previsione di un rilevante punteggio per elementi che nulla hanno a che vedere con il merito tecnico dell’offerta e che attengano, invece, all’esperienza professionale acquisita dal concorrente (es. curriculum, licenze o certificazioni di qualità ovvero servizi analoghi prestati in precedenza. Tali elementi, in quanto attinenti alla capacità del prestatore di eseguire i servizi oggetto dell’appalto, possono essere utilizzati unicamente ai fini della selezione dei concorrenti; l’esperienza, la competenza, le referenze, i lavori già realizzati, le risorse disponibili sono elementi che possono essere utilizzati come criteri di selezione e non devono essere presi in considerazione nel momento di valutazione dell’offerta): cfr. Cons. Stato, sez. V, 16 aprile 2003, n. 1993. La confusione fra i requisiti soggettivi di partecipazione alla gara e gli elementi oggettivi di valutazione dell’offerta è stata di recente stigmatizzata dalla circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento per le Politiche Comunitarie 1 marzo 2007 (recante “Principi da applicare, da parte delle stazioni appaltanti, nella scelta dei criteri di selezione e di aggiudicazione di un appalto pubblico di servizi”) pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 111 del 15 maggio 2007. Cfr. anche Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, deliberazione n. 209 del 27 giugno 2007, nella quale si evidenzia che in un precedente intervento dell’Autorità (deliberazione n. 30/2007) era stato precisato che la stazione appaltante, nell’individuare i punteggi da attribuire nel caso di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa, non deve confondere i requisiti soggettivi di partecipazione alla gara, con gli elementi oggettivi di valutazione dell’offerta. La commistione predetta è stata efficacemente contrastata in sede giurisprudenziale. La Commissione Europea ha, infatti, più volte segnalato al Governo italiano casi nei quali stazioni appaltanti italiane, nel redigere i bandi di gara, hanno preso in considerazione, come criteri per individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa, requisiti che attengono alla capacità tecnica del prestatore anziché alla qualità dell’offerta, in violazione della normativa comunitaria applicabile in materia. Orbene, per giurisprudenza costante della Corte di Giustizia, la distinzione tra criteri di idoneità, ovvero di “selezione dell’offerente”, e criteri di aggiudicazione e quindi di “selezione dell’offerta” è rigorosa: ed invero, l’accertamento dell’idoneità degli offerenti deve essere effettuato dall’amministrazione aggiudicatrice in conformità ai criteri di capacità economica, finanziaria e tecnica fissati in sede normativa, allo scopo di stabilire quali sono le referenze probanti o i mezzi di prova che possono prodursi per dimostrare la capacità finanziaria, economica e tecnica dei fornitori. Per quanto riguarda, invece, i criteri che possono essere utilizzati per l’aggiudicazione di un appalto pubblico, l’art. 53 della direttiva 2004/18/CEE stabilisce che le amministrazioni aggiudicatici possono scegliere tra il prezzo più basso o l’offerta economicamente più vantaggiosa. Quando l’aggiudicazione è a favore dell’offerta economicamente più vantaggiosa, possono essere utilizzati diversi criteri variabili, ma collegati sempre ed esclusivamente all’oggetto dell’appalto. La scelta, in tal caso, è limitata e può riguardare soltanto i criteri effettivamente volti ad individuare l’offerta economicamente più vantaggiosa e non quelli relativi alla capacità del prestatore (cfr. Corte di Giustizia CE, 20 settembre 1988, in causa n. 31/87, Beentjes; Corte di Giustizia CE, 19 giugno 2003, in causa n. C-315/01, GAT). L’offerta deve, invece, essere valutata in base a criteri che hanno una diretta connessione con l’oggetto dell’appalto e che servono a misurare il valore, ciò che esclude che si possa fare riferimento alle qualità soggettive dell’offerente; per alcune recenti applicazioni cfr. Corte di Giustizia CE, sez. I, 24 gennaio 2008, in causa n. C-532/06, Emm. G. Lianakis AE e Cons. Stato, sez. V, 4 marzo 2008, n. 912).

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 20/06/2011 n. 3670
d.lgs 163/06 Articoli 244, 3 – Codici 244.1, 3.1

Agli effetti della quantificazione del danno per lucro cessante, che l’impresa partecipante a gara pubblica assume di aver ingiustamente sofferto per effetto dell’illegittima mancata aggiudicazione dell’appalto, occorre che essa fornisca la prova rigorosa della percentuale d’utile che avrebbe conseguito se fosse risultata aggiudicataria, prova desumibile dall’esibizione dell’offerta economica da essa presentata al seggio di gara, non costituendo il criterio del 10% del prezzo a base d’asta un criterio automatico, ma solo presuntivo.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 31/05/2011 n. 3250
d.lgs 163/06 Articoli 244, 3 – Codici 244.1, 3.1

La gestione di un autoparcheggio su area pubblica, riguardando l’utilizzazione di un bene pubblico, anche quando non comporta il trasferimento di poteri autoritativi, costituisce attività di pubblico servizio assunto dalla pubblica amministrazione e svolta o direttamente dalla stessa o da altro soggetto ad essa collegato ed in favore della collettività indistinta (cfr. Cass., ss.uu., 4.7.2006, n. 15217).

LODI ARBITRALI Roma – Lodo 23/11/2010 n. 142/2010
d.lgs 163/06 Articoli 244, 3 – Codici 244.1, 3.1

Non Massimabile

LODI ARBITRALI Roma – Lodo 23/11/2010 n. 142/2010
d.lgs 163/06 Articoli 244, 3 – Codici 244.1, 3.1

Non Massimabile

LODI ARBITRALI Roma – Lodo 05/11/2010 n. 133/2010
d.lgs 163/06 Articoli 244, 3 – Codici 244.1, 3.1

Non Massimabile

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 12/10/2010 n. 7393
d.lgs 163/06 Articoli 244, 3 – Codici 244.1, 3.1

Alla stregua della disciplina che regola la materia, confluita da ultimo nell’art. 3, comma 26, d.lgs. 163/2006, sono necessarie tre condizioni perché ricorra la figura dell’organismo di diritto pubblico, condizioni che devono ricorrere cumulativamente secondo l’ interpretazione data dal giudice comunitario, e precisamente: 1) che l’organismo (anche in forma societaria) venga istituito per soddisfare specificamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale; 2) che sia dotato di personalità giuridica; 3) che la sua attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi oppure il cui organo di amministrazione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà è designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico (cfr., da ultimo, Cass. civ., ss.uu., 7.4.2010, n. 8225).

LODI ARBITRALI Roma – Lodo 18/06/2010 n. 80/2010
d.lgs 163/06 Articoli 244, 3 – Codici 244.1, 3.1

Non Massimabile

LODI ARBITRALI Roma – Lodo 18/05/2010 n. 80/2010
d.lgs 163/06 Articoli 244, 3 – Codici 244.1, 3.1

Non Massimabile

Corte di Giustizia U.E., Sezione IV – Sentenza 23/12/2009 n. C-305/08
d.lgs 163/06 Articoli 244, 3 – Codici 244.1, 3.1

Le disposizioni della direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 31 marzo 2004, 2004/18/CE, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, ed in particolare quelle di cui al suo art. 1, nn. 2, lett. a), e 8, primo e secondo comma, che si riferiscono alla nozione di «operatore economico», devono essere interpretate nel senso che consentono a soggetti che non perseguono un preminente scopo di lucro, non dispongono della struttura organizzativa di un’impresa e non assicurano una presenza regolare sul mercato, quali le università e gli istituti di ricerca nonché i raggruppamenti costituiti da università e amministrazioni pubbliche, di partecipare ad un appalto pubblico di servizi.La direttiva 2004/18 dev’essere interpretata nel senso che essa osta all’interpretazione di una normativa nazionale come quella di cui trattasi nella causa principale che vieti a soggetti che, come le università e gli istituti di ricerca, non perseguono un preminente scopo di lucro di partecipare a una procedura di aggiudicazione di un appalto pubblico, benché siffatti soggetti siano autorizzati dal diritto nazionale ad offrire sul mercato i servizi oggetto dell’appalto considerato.

Corte Costituzionale Roma – Sentenza 11/02/2011 n. 43
d.lgs 163/06 Articoli 4 – Codici 4.1

Questa Corte, con la sentenza n. 401 del 2007, ha avuto modo di affermare che «non è possibile tracciare una netta linea di demarcazione che faccia unicamente perno sul profilo soggettivo, distinguendo le procedure di gara indette da amministrazioni statali da quelle poste in essere da amministrazioni regionali o sub-regionali, per inferirne che solo le prime sarebbero di spettanza statale, mentre le seconde rientrerebbero nell’ambito della potestà legislativa regionale. La perimetrazione delle sfere materiali di competenza non può, infatti, essere determinata avendo riguardo esclusivamente alla natura del soggetto che indice la gara o al quale è riferibile quel determinato bene o servizio, in quanto, come già sottolineato, occorre fare riferimento, invece, al contenuto delle norme censurate al fine di inquadrarlo negli ambiti materiali indicati dall’art. 117 Cost.». Ciò comporta che, per stabilire se siano state violate le competenze statali evocate, occorre avere riguardo a quanto previsto dalle singole disposizioni della legge regionale impugnata. Il legislatore regionale può stabilire, infatti, quali siano i destinatari dei propri precetti nei limiti in cui l’adozione di questi ultimi rientri nell’ambito di specifiche competenze della Regione. In altri termini, non è possibile effettuare un giudizio di costituzionalità che investa il piano soggettivo senza valutarne anche l’ambito di rilevanza oggettivo e cioè l’attività che in concreto i soggetti dovranno porre in essere, alla luce di quanto previsto dal legislatore stesso.

Corte Costituzionale Roma – Sentenza 11/02/2011 n. 43
d.lgs 163/06 Articoli 4 – Codici 4.1

In relazione alla fase negoziale, che ha inizio con la stipulazione del contratto, questa Corte ha più volte precisato (da ultimo citata sentenza n. 160 del 2009) come l’amministrazione si ponga in una posizione di tendenziale parità con la controparte ed agisca nell’esercizio non di poteri amministrativi, bensì della propria autonomia negoziale. Ne consegue che la disciplina della predetta fase deve essere ascritta prevalentemente all’ambito materiale dell’ordinamento civile. Sussiste, infatti, l’esigenza, sottesa al principio costituzionale di eguaglianza, di garantire l’uniformità di trattamento, nell’intero territorio nazionale, della disciplina dei momenti di conclusione ed esecuzione dei contratti di appalto. Ciò, però, non significa – si è puntualizzato, in particolare, con la sentenza n. 401 del 2007 – che, in relazione a peculiari esigenze di interesse pubblico, non possano residuare in capo all’autorità procedente poteri pubblici riferibili, tra l’altro, a specifici aspetti organizzativi afferenti alla stessa fase esecutiva. Le singole Regioni a statuto ordinario sono legittimate a regolare soltanto quelle fasi procedimentali che afferiscono a materie di propria competenza, nonché gli oggetti della procedura rientranti anch’essi in ambiti materiali di pertinenza regionale (sentenze n. 45 del 2010 e n. 160 del 2009). Al fine di evitare che siano vanificate le competenze delle Regioni a statuto ordinario, è consentito che norme regionali riconducibili a tali competenze possano produrre «effetti proconcorrenziali», purché tali effetti «siano indiretti e marginali e non si pongano in contrasto con gli obiettivi posti dalle norme statali che tutelano e promuovono la concorrenza» (sentenze n. 45 del 2010 e n. 160 del 2009).

Corte Costituzionale Roma – Sentenza 11/02/2011 n. 43
d.lgs 163/06 Articoli 4 – Codici 4.1

La giurisprudenza costituzionale (tra le altre, sentenze n. 45 del 2010, n. 160 del 2009 e n. 401 del 2007) è costante nel ritenere che, in mancanza di una espressa indicazione nel nuovo art. 117 Cost., i lavori pubblici «non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono» e pertanto possono essere ascritti, di volta in volta, a potestà legislative statali o regionali. Ne deriva che non è «configurabile né una materia relativa ai lavori pubblici nazionali, né tantomeno un ambito materiale afferente al settore dei lavori pubblici di interesse regionale» (sentenza n. 401 del 2007). Ne consegue che le questioni di costituzionalità devono essere esaminate in rapporto al contenuto delle singole disposizioni impugnate, al fine di stabilire quali siano gli ambiti materiali in cui esse trovano collocazione.

Corte Costituzionale – Sentenza 05/01/2011 n. 7
d.lgs 163/06 Articoli 4 – Codici 4.1

Questa Corte (sentenza n. 411 del 2008) ha già avuto occasione di affermare che le norme relative alle procedure di gara ed all’esecuzione del rapporto contrattuale, ivi comprese quelle in tema di programmazione di lavori pubblici, sono di competenza legislativa statale perché poste a tutela della concorrenza.

TAR Palermo, Sezione III – Sentenza 28/12/2007 n. 3494
d.lgs 163/06 Articoli 4 – Codici 4.1

Con riferimento a una clausola del disciplinare di gara che attribuisce la preferenza, a parità di ribasso, alle imprese che riservino il 30% almeno delle forniture a favore di imprese insediate nella Provincia di Trapani, sequestrate o confiscate, o sottoposte ad amm.ne controllata dello Stato, per ragioni di natura penale, va solo detto che la questione della scelta dell’aggiudicatario in presenza di più offerte di pari ribasso, risulta normata dal Legislatore siciliano, prima con l’art. 1, comma 6, L.r. 29 novembre 2005, n. 16 (secondo il quale “Ove si sia in presenza di più aggiudicatari con offerte uguali, si procede immediatamente al sorteggio”) e poi con l’art. 11 della L.r. 20/2007 (secondo il quale “Ove si sia in presenza di più aggiudicatari con offerte uguali, si procede esclusivamente al sorteggio del primo e del secondo aggiudicatario, escludendo qualsiasi altro sistema di scelta”). Due ravvicinati interventi legislativi che – è utile sottolinearlo – fanno seguito di un travaglio giurisprudenziale caratterizzato da esiti contrastanti in ordine all’applicabilità o meno (in caso di offerte di uguale ribasso) dell’esperimento dell’offerta migliorativa ex art. 77 R.D. 23 maggio 1924, n. 827. Per l’applicabilità di detto articolo si era espresso, infatti, il C.g.a. con le decisioni del 8 maggio 2006 n. 182 e 19 marzo 2002, n. 144, nonché il T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, con sentenza 9 maggio 2005, n. n. 733; in senso contrario si era espresso lo stesso T.A.R. Sicilia, Palermo, Sez. II, con le sentenze 20 gennaio 2005, n. 87 e 14 giugno 2005, n.977. La clausola in argomento, dunque, introduce un criterio preferenziale, a parità di offerte di uguale ribasso, che non trova alcun riscontro nella legge ed anzi, a fronte della puntuale e ripetuta regolamentazione di livello legislativo (che esclude testualmente “qualsiasi altro sistema di scelta”), si appalesa, sostanzialmente, “contra legem”.

TAR Catanzaro, Sezione I – Sentenza 01/02/2010 n. 58
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

Non è ravvisabile alcun interesse dell’amministrazione appaltante rispetto ad un adempimento quale la comunicazione del versamento all’Autorità di Vigilanza, non incidendo ciò sul regolare andamento della gara, sulla tutela delle ragioni sottese all’attività dell’Autorità né, infine, sulla “par condicio” dei partecipanti alla gara. La stessa Autorità di Vigilanza sui contratti pubblici ha escluso che le stazioni appaltanti possano escludere per un motivo del genere il soggetto partecipante alla gara.

Consiglio di Stato, Sezione VI – Sentenza 24/12/2009 n. 8720
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

Dell’avvio del procedimento di iscrizione di dati nel casellario informatico presso l’Autorità deve essere notiziato l’interessato, anche quando la trasmissione di atti al casellario, da parte delle stazioni appaltanti, è dovuta in adempimento di disposizioni di legge, attese le conseguenze rilevanti che derivano da tale iscrizione e l’indubbio interesse del soggetto all’esattezza delle iscrizioni. Né dalla l. n. 241/1990, né dal sistema della legislazione sui pubblici appalti, si desume una deroga al principio generale dell’avviso di avvio del procedimento, quanto allo specifico procedimento di iscrizione dei dati nel casellario informatico presso l’Osservatorio. Piuttosto, in alcuni casi, si può ritenere che vi siano equipollenti dell’autonomo avviso di avvio del procedimento. Così, quanto ai provvedimenti di esclusione, posto che la loro comunicazione dalla stazione appaltante all’Osservatorio è dovuta per legge, senza margini di opinabilità o apprezzamento, si può ritenere che la comunicazione del provvedimento di esclusione al concorrente costituisca anche equipollente dell’avviso di avvio del procedimento di iscrizione nel casellario informatico, che consegue ex lege. Lo stesso è a dirsi quanto ai dati relativi alle imprese qualificate, che si desumono dal provvedimento di qualificazione (attestazione SOA). Infatti, posto che l’iscrizione di tali dati è prevista per legge, la comunicazione all’interessato del provvedimento di qualificazione (attestazione SOA), rende conoscibile da parte del destinatario la circostanza che i dati saranno inseriti nel casellario informatico. In termini più generali, quando la legge prescrive in via automatica la segnalazione di determinati dati all’Osservatorio, senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale in ordine al se della comunicazione e al contenuto della stessa, si possono, come regola generale, individuare equipollenti dell’avviso di avvio del procedimento di iscrizione. Diverso discorso va svolto per dati la cui comunicazione non è automatica e dovuta, ma frutto di valutazioni da parte della stazione appaltante, su dati opinabili: ciò accade ad es. nel caso di segnalazione di episodi di grave negligenza o grave inadempimento, e nel caso di false dichiarazioni. Infatti in tali casi la stazione appaltante, per effettuare la segnalazione, deve valutare se vi è o meno grave negligenza, grave inadempimento, falsità della dichiarazione. Sicché, l’interessato non può sapere ex ante se e quando tale valutazione verrà svolta in senso affermativo, e se vi sarà o meno segnalazione all’Osservatorio. Pertanto, dell’avvio del procedimento di iscrizione nel casellario va dato avviso all’interessato, salvo a individuare caso per caso equipollenti idonei allo scopo (p.es. comunicazione dell’esclusione per grave negligenza o falsa dichiarazione, accompagnata dall’avviso che l’atto viene trasmesso anche all’Osservatorio). Una conferma della necessità di garantire la partecipazione (mediante avviso di avvio del procedimento e mediante contraddittorio) nel procedimento di iscrizione di dati e notizie nel casellario informatico si desume dalla determinazione n. 1/2008 dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, che ha istituito il casellario informatico per servizi e forniture. In detta determinazione si dispone che al fine di consentire la tutela dell’operatore economico, la stazione appaltante deve notificare a quest’ultimo, ai sensi dell’art. 79, d.lgs. n. 163/2006, il provvedimento di esclusione dello stesso dalla gara, precisando che detto provvedimento è congiuntamente comunicato all’Autorità per l’inserimento del dato nel casellario informatico, il che potrà consentire all’operatore economico di fornire all’Autorità un’utile informazione relativamente ad iniziative giurisdizionali intraprese. Analogamente, la stazione appaltante informa l’operatore economico circa le altre comunicazioni inoltrate all’Autorità. Prima di disporre l’iscrizione nel casellario, l’Autorità procede alle verifiche del caso. La determinazione n. 1/2008 dispone infatti che l’Autorità, posta a conoscenza del provvedimento di esclusione disposto dalla stazione appaltante e dell’eventuale dichiarazione non veritiera resa dall’operatore economico, procede alla puntuale e completa annotazione dei relativi contenuti nel casellario informatico, salvo il caso che consti l’inesistenza in punto di fatto dei presupposti o comunque l’inconferenza della notizia comunicata dalla stazione appaltante. Nei confronti dell’operatore economico escluso anche per aver fornito dati o documenti non veritieri circa il possesso dei requisiti prescritti per la partecipazione alla procedura di affidamento viene instaurato un procedimento in contraddittorio. Sulla scorta di tali argomenti, una parte della giurisprudenza ha ritenuto che deve ritenersi legittima l’iscrizione del provvedimento di esclusione, con omissione delle garanzie di partecipazione; deve invece ritenersi illegittima l’iscrizione di una asserita <<falsa dichiarazione>>(così qualificata dalla stazione appaltante) con omissione delle garanzie partecipative (Cons. St., sez. VI, 4 agosto 2009 n. 4905).

TAR Roma, Sezione III – Sentenza 26/10/2009 n. 10429
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

Il principio di legalità di cui all’art. 1, l. n. 689 del 1981 implica, quali necessari corollari, non solo quello di riserva di legge e di non retroattività, ma anche quello di tassatività e determinatezza della fattispecie illecita ( cfr T.A.R. Lombardia Milano, sez. IV, 13 febbraio 2008 , n. 321, rispetto ad una sanzione pecuniaria irrogata dall’Autorità per l’Energia).Quando la norma attribuisce il potere sanzionatorio fissando i limiti minimi e massimi della sanzione, come anche nell’ambito delle fattispecie penali, è evidente che l’autorità amministrativa o giudiziaria non possa superare tali limiti, se non in casi specifici, altresì espressamente previsti dalla legge, ( circostanze aggravanti e attenuanti per le fattispecie penali, continuazione anche le sanzioni amministrative).L’art 6 comma 11, codice contratti che costituisce indubitabilmente la norma attributiva del potere di irrogare sanzioni pecuniarie, nel caso di specie, prevede il massimo della sanzione in euro 51.545. Infatti, la seconda parte della norma dice espressamente “le stesse sanzioni” si applicano agli operatori economici che forniscono informazioni o documenti non veritieri circa il possesso dei requisiti di partecipazione.Il richiamo deve quindi intendersi al potere sanzionatorio così come attribuito anche nei limiti minimi e massimi dalla prima parte della norma.Il riferimento al valore posto a base d’asta, fatto dalla Autorità di Vigilanza, è, quindi, del tutto privo di un dato normativo, con assoluta carenza del potere sanzionatorio, oltre che del tutto irragionevole ed illogico (nel caso di specie l’Autorità di Vigilanza, ritenendo che ” nel caso di false dichiarazioni gli effetti sanzionatori devono essere adottati nella misura più elevata”, irrogava la sanzione pecuniaria commisurata all’importo a base d’asta e la sospensione dalla partecipazione alle procedure di affidamento per dodici mesi).

TAR Cagliari, Sezione I – Sentenza 09/10/2009 n. 1512
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

L’impresa ha interesse ad ottenere l’annullamento di un’annotazione sul casellario informatico (art. 27, D.P.R. 25 gennaio 2000 n. 34), che si riveli, in tutto od in parte, non aderente alla realtà dei fatti, anche al fine di evitare l’esclusione automatica dalle gare in relazione alla disciplina delle diverse cause di esclusione previste dall’art. 38, D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (fattispecie relativa a gravi violazioni in materia di sicurezza, rilevanti ai fini di cui all’art. 38, comma 1, lett. e), D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163).

TAR Roma, Sezione III – Sentenza 21/09/2009 n. 9039
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

L’esclusione da una pubblica gara per l’affidamento di appalto per dichiarazione mendace nel corso della stessa, oltre a determinare l’estromissione dalla gara, fa sorgere, altresì, l’obbligo per le stazioni appaltanti di comunicazione all’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui all’art. 7, codice degli appalti, che riceve, come noto, tutte le notizie che riguardino le imprese qualificate e le gare cui esse partecipino, il che è condizione sufficiente per l’attivazione del procedimento che si conclude con l’annotazione nel Casellario informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture istituito presso l’Osservatorio ai sensi del citato art. 7, comma 10; per tale ultimo aspetto, se da un lato assume importanza fondamentale per l’impresa conoscere le ragioni in forza delle quali è stata disposta l’esclusione, dall’altro è indubitabile come la stessa, avuta contezza di ciò, se ritiene priva di fondamento giuridico, oltre che fattuale, la rilevata violazione, non possa fare altro che attivare i rimedi previsti dall’ordinamento per la rimozione degli effetti di tale esclusione, in quanto gli stessi non sono circoscrivibili alla sola espulsione dalla procedura concorsuale, ma estensibili anche agli ulteriori effetti che l’ordinamento stesso ha previsto. Ed invero, l’art. 27 del d.P.R. n. 34 del 2000, che ha istituito il Casellario informatico delle imprese qualificate nel settore dei lavori pubblici, prevede l’inserimento dei dati relativi a eventuali provvedimenti di esclusione dalle gare ai sensi dell’articolo 8, comma 7, della legge 109/94 (ora trasfusa nel codice degli appalti) adottati dalle stazioni appaltanti (lett. r); e le eventuali falsità nelle dichiarazioni rese in merito ai requisiti e alle condizioni rilevanti per la partecipazione alle procedure di gara (lett. s). La giurisprudenza amministrativa si è più volte pronunciata circa la natura dell’attività posta in essere dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture in sede di inserimento dei dati nel casellario informatico sulla base delle segnalazioni pervenute, da considerarsi meramente esecutiva, con la conseguenza che, nella struttura della norma dell’art. 27, d.P.R. 25 gennaio 2000 n. 34, non compete all’Autorità una verifica preliminare dei contenuti sostanziali delle segnalazioni, ad eccezione della verifica di riconducibilità delle stesse alle ipotesi tipiche elencate dalla norma medesima (ex multis, TAR Lazio, Sez. III, 12 agosto 2003, n. 7052); peraltro, mancando ogni discrezionalità in capo all’Autorità, è escluso, altresì, l’obbligo di motivazione e l’applicazione di istituti partecipativi (comunicazione di avvio, contraddittorio).

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 04/08/2009 n. 4906
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

Dell’avvio del procedimento di iscrizione di dati nel casellario informatico presso l’Autorità deve essere notiziato l’interessato, anche quando la trasmissione di atti al casellario, da parte delle stazioni appaltanti, è dovuta in adempimento di disposizioni di legge, attese le conseguenze rilevanti che derivano da tale iscrizione e l’indubbio interesse del soggetto all’esattezza delle iscrizioni. Invero, né dalla l. n. 241/1990, né dal sistema della legislazione sui pubblici appalti, si desume una deroga al principio generale dell’avviso di avvio del procedimento, quanto allo specifico procedimento di iscrizione dei dati nel casellario informatico presso l’Osservatorio. Anzi, una conferma della necessità di garantire la partecipazione (mediante avviso di avvio del procedimento e mediante contraddittorio) nel procedimento di iscrizione di dati e notizie nel casellario informatico si desume proprio dalla determinazione n. 1/2008 dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, che ha istituito il casellario informatico per servizi e forniture. In detta determinazione si dispone che al fine di consentire la tutela dell’operatore economico, la stazione appaltante deve notificare a quest’ultimo, ai sensi dell’art. 79, d.lgs. n. 163/2006, il provvedimento di esclusione dello stesso dalla gara, precisando che detto provvedimento è congiuntamente comunicato all’Autorità per l’inserimento del dato nel casellario informatico, il che potrà consentire all’operatore economico di fornire all’Autorità un’utile informazione relativamente ad iniziative giurisdizionali intraprese. Analogamente, la stazione appaltante informa l’operatore economico circa le altre comunicazioni inoltrate all’Autorità. Prima di disporre l’iscrizione nel casellario, l’Autorità procede alle verifiche del caso. La determinazione n. 1/2008 dispone infatti che l’Autorità, posta a conoscenza del provvedimento di esclusione disposto dalla stazione appaltante e dell’eventuale dichiarazione non veritiera resa dall’operatore economico, procede alla puntuale e completa annotazione dei relativi contenuti nel casellario informatico, salvo il caso che consti l’inesistenza in punto di fatto dei presupposti o comunque l’inconferenza della notizia comunicata dalla stazione appaltante. Nei confronti dell’operatore economico escluso anche per aver fornito dati o documenti non veritieri circa il possesso dei requisiti prescritti per la partecipazione alla procedura di affidamento viene instaurato un procedimento in contraddittorio. In alcuni casi, si può ritenere che vi siano equipollenti dell’autonomo avviso di avvio del procedimento. Così, quanto ai provvedimenti di esclusione, posto che la loro comunicazione dalla stazione appaltante all’Osservatorio è dovuta per legge, senza margini di opinabilità o apprezzamento, si può ritenere che la comunicazione del provvedimento di esclusione al concorrente costituisca anche equipollente dell’avviso di avvio del procedimento di iscrizione nel casellario informatico, che consegue ex lege. Lo stesso è a dirsi quanto ai dati relativi alle imprese qualificate, che si desumono dal provvedimento di qualificazione (attestazione SOA). Infatti, posto che l’iscrizione di tali dati è prevista per legge, la comunicazione all’interessato del provvedimento di qualificazione (attestazione SOA), rende conoscibile da parte del destinatario la circostanza che i dati saranno inseriti nel casellario informatico. In termini più generali, quando la legge prescrive in via automatica la segnalazione di determinati dati all’Osservatorio, senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale in ordine al se della comunicazione e al contenuto della stessa, si possono, come regola generale, individuare equipollenti dell’avviso di avvio del procedimento di iscrizione. Diverso discorso va svolto per dati la cui comunicazione non è automatica e dovuta, ma frutto di valutazioni da parte della stazione appaltante, su dati opinabili: ciò accade ad es. nel caso di segnalazione di episodi di grave negligenza o grave inadempimento, e nel caso di false dichiarazioni. Infatti in tali casi la stazione appaltante, per effettuare la segnalazione, deve valutare se vi è o meno grave negligenza, grave inadempimento, falsità della dichiarazione. Sicché, l’interessato non può sapereex ante se e quando tale valutazione verrà svolta in senso affermativo, e se vi sarà o meno segnalazione all’Osservatorio. Pertanto, dell’avvio del procedimento di iscrizione nel casellario va dato avviso all’interessato, salvo a individuare caso per caso equipollenti idonei allo scopo (p.es. comunicazione dell’esclusione per grave negligenza o falsa dichiarazione, accompagnata dall’avviso che l’atto viene trasmesso anche all’Osservatorio).

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 04/08/2009 n. 4906
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

Non può escludersi che, nelle more del nuovo regolamento, il casellario informatico per servizi e forniture venga attivato con delibera dell’Autorità di vigilanza, come è avvenuto in virtù della delibera n. 1/2008. Infatti dall’intero sistema del codice, anche prima del terzo correttivo, si desume che il casellario informatico riguarda anche i servizi e le forniture, e che è ritenuto immediatamente operante. Sicché, il terzo correttivo ha una portata esplicativa di un principio già desumibile dal codice nella sua precedente formulazione. Infatti l’art. 38, co. 1, lett. e), h), n-bis), prevede cause di esclusione per comprovare le quali vanno utilizzati i dati in possesso dell’Osservatorio, ovvero del casellario. Si tratta di cause di esclusione comuni a servizi, lavori, forniture. Il codice dà dunque per presupposto, essendo le cause di esclusione di immediata applicazione, che sia attivato lo strumento attuativo, vale a dire il casellario, anche per servizi e forniture. E il potere di attivazione spetta all’Autorità, che nell’esercizio del potere di vigilanza è anche portatrice del potere di chiedere dati e informazioni alle stazioni appaltanti: sicché ben può stabilire, con delibera di carattere generale, quali atti e documenti le stazioni appaltanti sono tenute a trasmettere (art. 6, co. 9, lett. a), codice).

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 04/08/2009 n. 4906
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

La segnalazione all’Autorità circa la esclusione di una impresa va fatta non solo nel caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine speciale in sede di controllo a campione, ma anche in caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine generale (secondo quanto più volte statuito da questo Consesso: Cons. St., sez. IV, 7 settembre 2004 n. 5792; Cons. St., sez. V, 12 febbraio 2007 n. 554).

Corte dei Conti Marche, Sezione Giurisdizionale – Sentenza 15/07/2009 n. 228
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

Sussiste sia la colpa grave, sia la responsabilità amministrativa di amministratori e tecnici di un Comune per avere disatteso un parere dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici sulle modalità di pagamento dei compensi ai tecnici incaricati della progettazione e della direzione lavori pubblici.

TAR Brescia, Sezione II – Sentenza 29/06/2009 n. 1349
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

È precluso all’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di imporre scelte o in generale di impartire prescrizioni alle amministrazioni pubbliche circa i comportamenti legittimi da intraprendere. Se nell’ambito dei suoi poteri l’Autorità può senz’altro acquisire informazioni ed effettuare segnalazioni alle autorità giurisdizionali, ovvero esprimere il proprio parere sulla pertinente normativa nazionale e comunitaria, la natura della potestà esercitata comporta che ordinariamente gli atti da essa adottati siano inidonei a determinare un pregiudizio diretto nella sfera giuridica dei soggetti pubblici sottoposti a vigilanza. Se l’amministrazione locale omette di fornire le informazioni secondo le modalità richieste subisce l’applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 6 comma 1 del Codice dei contratti

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 16/06/2009 n. 3878
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

L’art. 15-bis, comma 5, del d.P.R. n. 34 del 2000, nella parte in cui dispone che le imprese si sottopongano alla verifica triennale almeno sessanta giorni prima della scadenza del triennio di validità dell’attestazione, è correttamente inteso dall’Autorità per la Vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, nella Determinazione n. 6 del 21 aprile 2004, nel senso che i detti termini non sono perentori: ossia “l’impresa può sottoporsi a verifica anche dopo le suddette date ma, in tal caso, qualora la verifica sia effettuata dopo la scadenza del triennio di validità dell’attestazione, l’impresa non può partecipare alle gare nel periodo decorrente dalla data di scadenza del triennio alla data di effettuazione della verifica con esito positivo”. L’impresa può quindi partecipare alle gare anche nelle more della effettuazione della verifica triennale, anche quando sia scaduto il triennio di validità, purché la verifica sia stata richiesta nel termine di sessanta giorni anteriori alla scadenza. In altri termini, l’impresa che concorra da sola può partecipare alla gara esibendo alla stazione appaltante anche soltanto la domanda, proposta nel termine, con la quale ha chiesto di effettuare la verifica triennale o il rinnovo della attestazione. E ciò è come dire, che in tal caso, ai fini della validità della domanda di partecipazione alla gara, la scadenza del triennio o del quinquennio, si ha come non avvenuta.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 12/06/2009 n. 3685
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

Va annullato il bando di gara nel caso in cui la stazione appaltante non aveva ottenuto il «codice di identificazione (C.I.G.)» da parte dell’Autorità, oppure quando l’omessa indicazione del medesimo e dell’obbligo di versamento della contribuzione nel bando di gara aveva cagionato l’erronea percezione in capo ai concorrenti delle condizioni di partecipazione dalla quale era derivata l’esclusione di quattro partecipanti su cinque, con evidente distorsione delle garanzie di concorrenza e di parità di partecipazione. Non rileva l’assenza di espresse sanzioni di nullità della gara nell’art. 1, co. 67 della legge n. 266/2002, per l’omesso versamento del contributo, la cui natura di prestazione imposta ne permette il recupero coattivo a carico dell’ente, come il Comune sostiene nell’appello incidentale. Dall’omissione deriva, infatti, l’impossibilità da parte dell’Autorità di attribuire il «codice di identificazione del procedimento di selezione del contraente (C.I.G.)» da menzionare nel versamento ad opera delle partecipanti. La stessa rappresenta perciò di per sé una causa d’invalidità del bando di gara perché non consente alle partecipanti alla stessa di effettuare validamente un adempimento prescritto a pena di nullità della partecipazione, qual è il pagamento del contributo a loro carico riferito a quella specifica gara, della quale il «codice (C.I.G.)» costituisce elemento identificativo unico ed insostituibile per la prova della validità del versamento.

Consiglio di Stato, Sezione VI – Sentenza 06/03/2009 n. 1342
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

Nell’attuale assetto normativo le tariffe professionali di ingegneri e architetti e, quindi, tra esse, anche le tariffe relative alle “prestazioni speciali”, non costituiscono più “minimi inderogabili” (e che a tanto hanno portato, principalmente, i principi liberalizzatori di fonte comunitaria). Tanto discende, anzitutto, dell’entrata in vigore del c.d. decreto Bersani (decreto-legge n. 223 del 4 luglio 2006, convertito nella legge n. 248 del 4 agosto 2006) a mente del quale (art. 2, comma 1): “in conformità al principio comunitario di libera concorrenza ed a quello di libertà di circolazione delle persone e dei servizi, nonché al fine di assicurare agli utenti un’effettiva facoltà di scelta nell’esercizio dei propri diritti e di comparazione delle prestazioni offerte sul mercato, dalla data di entrata in vigore del presente decreto sono abrogate le disposizioni legislative e regolamentari che prevedono con riferimento alle attività libero professionali e intellettuali: a) l’obbligatorietà di tariffe fisse o minime ovvero il divieto di pattuire compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti”. Tale decreto è stato interpretato dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, con determinazione 29 marzo 2007, n. 4/2007, nel senso del superamento del principio del carattere inderogabile delle tariffe, all’epoca vigente giusta, da ultimo, quanto previsto dall’art. 92 del Codice dei contratti pubblici di cui al d.lgs. n. 163 del 12 aprile 2006.

TAR Bari, Sezione I – Sentenza 12/12/2008 n. 2817
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

È chiaro che l’obbligo di versamento della contribuzione, a carico dei partecipanti alle procedure per l’affidamento, pur sempre imposto a pena di esclusione dalla gara, non risulta stabilito direttamente dall’articolo 1, comma 67, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, bensì dal complesso di regole fissate dalla delibera dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, a ciò abilitata dall’articolo 8, comma 12, del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163, il quale ultimo ha consentito, attraverso il rinvio all’articolo 1, comma 67, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, l’applicazione anche agli altri contratti del meccanismo lì delineato in origine per i soli lavori. La circostanza che sia stata omessa nel bando di gara la previsione non esime dall’obbligo del versamento del contributo. La disposizione dell’art. 1, comma 67 della l. 266 del 2005, come resa concretamente operativa dalla delibera dell’Autorità, integra norma eterointegrativa dei bandi di gara attesa la totale assenza di discrezionalità dell’amministrazione in ordine alla sua applicabilità ed efficacia (TAR Sicilia, Palermo III, 11 dicembre 2006, n. 3888). Né rileva in contrario la circostanza che la stazione appaltante abbia omesso di comunicare la procedura di gara al sistema informativo dell’Autorità (non ottenendo quindi il relativo codice identificativo) e di versare il contributo a proprio carico, atteso che con la citata delibera dell’Autorità del 10 gennaio 2007 è disciplinata anche la misura del contributo, sicché è sempre possibile per il concorrente quantificare la misura del contributo ed effettuarne il versamento.

TAR Napoli, Sezione I – Sentenza 04/11/2008 n. 19209
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

Le istruzioni operative emanate dall’Autorità di Vigilanza non sono relegabili al ruolo di “semplici opinioni”, espressione di mera attività consultiva, ma assurgono al rango di vere e proprie norme integratrici delle disposizioni di carattere regolamentare contenute nella delibera dell’Autorità del 10 gennaio 2007, come si evince dal chiaro enunciato dell’art. 3, comma 6, di detta delibera, a termini del quale “Il versamento delle contribuzioni va effettuato secondo le istruzioni operative presenti sul sito dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture al seguente indirizzo: (…)”. Il carattere normativo delle delibere e delle istruzioni operative dell’Autorità in materia di obbligo di contribuzione discende direttamente dalla cornice legislativa di cui agli artt. 1, commi 65, 66 e 67, della Legge n. 266/2005, ed 8, comma 12, del D.Lgs. n. 163/2006, che ha inteso demandare ad un complesso di regole generali ed astratte, individuate dalla stessa Autorità, la disciplina di dettaglio inerente all’ammontare ed alle modalità di versamento dei contributi (cfr. in tal senso TAR Puglia Bari, Sez. I, 24 aprile 2008 n. 1028). Tale assunto è conforme alla ormai riconosciuta potestà regolamentare delle autorità amministrative indipendenti nelle materie di rispettiva competenza, sebbene ammessa entro precisi limiti costituzionali e legislativi, come ha avuto modo di chiarire di recente il Consiglio di Stato in sede consultiva: “il potere normativo delle autorità indipendenti si esprime sia attraverso regolamenti che attuano i principi generali fissati dalla legge (avvicinandosi molto ai regolamenti esecutivi, di attuazione e completamento della disciplina legislativa) sia attraverso regolamenti (affini a quelli <<indipendenti>> del governo) che si caratterizzano per un mero riferimento alla materia oggetto di regolamentazione o, al più, a concetti giuridici indeterminati o a finalità generale; l’ammissibilità di tali ultimi regolamenti non esclude la necessità di accertare, caso per caso, la sussistenza della condizione che la materia regolata non sia sottoposta a riserva di legge e che nella stessa legge istitutiva dell’autorità, o comunque in altra fonte primaria (anche di livello comunitario), siano rinvenibili i criteri di fondo per l’esercizio del potere normativo dell’autorità di regolazione” (così Sez. per gli atti normativi, parere n. 11603/04 del 14 febbraio 2005). Inoltre, il connotato della normatività riceve conforto nell’orientamento giurisprudenziale, condiviso da questo Collegio, che ritiene imperativa la disciplina introdotta dall’Autorità di Vigilanza in materia di versamento dei contributi, in modo che la stessa integri, anche in termini di cogenza, il bando di gara eventualmente silente al riguardo (cfr. TAR Sicilia Catania, Sez. IV, 10 maggio 2007 n. 796 e 1° agosto 2006 n. 1297).

TAR Roma, Sezione III – Sentenza 11/06/2008 n. 5762
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

Il provvedimento con il quale l’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici revoca l’attestazione SOA ottenuta in violazione dell’art. 17 d.P.R. n. 34 del 2000 è da intendersi tecnicamente di annullamento. In ragione dell’intervenuto annullamento dell’attestazione SOA, l’atto di aggiudicazione è da considerarsi ab origine illegittimo, poiché, in assenza di tale qualificazione, l’impresa non avrebbe potuto partecipare alla gara e, comunque, nel caso di presentazione dell’offerta ne sarebbe stata esclusa (T.A.R. Lombardia Milano, sez. III, 01 dicembre 2005 , n. 2977). Né sulla gara può influire il successivo rilascio della attestazione. I requisiti per la partecipazione alle gare devono, infatti, essere posseduti al momento della presentazione della gara, né può valere una sanatoria successiva. Il possesso dei requisiti da parte delle imprese per partecipare alle gare di appalto ad evidenza pubblica deve essere valutata con esclusivo riferimento al momento della scadenza del termine per la presentazione delle offerte (T.A.R. Toscana Firenze, sez. II, 28 dicembre 2006 , n. 8182; T.A.R. Campania Napoli, sez. I, 02 marzo 2006 , n. 2545).

TAR Torino, Sezione II – Sentenza 11/06/2008 n. 1354
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

Non si può prescindere dai chiari indici che, nell’attuale quadro normativo di riferimento, depongono nel senso dell’assenza di personalità giuridica in capo all’Autorità (cfr. articolo 6, comma 2, del codice dei contratti) la quale, pertanto, deve essere assimilata agli organi dello Stato cui si applica la regola della rappresentanza obbligatoria da parte dell’Avvocatura (cfr. T.A.R. Lombardia, Milano, sez. IV, 26 luglio 2005, n. 3419).

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 08/05/2008 n. 2126
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

Si deve escludere l’automatica revoca dell’attestazione in quei casi in cui i certificati contestati non sono rilevanti al fine del rilascio dell’attestazione e non vi è alcun addebito da muovere all’impresa. In applicazione del principio generale di conservazione degli atti giuridici l’Autorità è tenuta a valutare se le difformità riscontrate siano idonee ad influire sui presupposti richiesti per la qualificazione.

Consiglio di Stato, Sezione IV – Sentenza 04/10/2007 n. 5197
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

L’inserzione nel casellario informatico, di cui all’art. 27 del d.p.r. 25 gennaio 2000 n. 34, di dati negativi (quali precedenti esclusioni da gare) a carico di un’impresa ha solo la finalità di rendere pubblicamente noti i fatti ivi annotati, la cui valutazione, ai fini dell’esclusione o non da successive gare, resta demandata alla singola stazione appaltante che rimane titolare del relativo potere ( a meno che non si tratti di “sospensione” dalla partecipazione espressamente ed autonomamente disposta dall’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, caso che qui non ricorre). L’attività posta in essere dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di inserimento dei dati nel casellario informatico è, inoltre, meramente esecutiva, senza che competa a detta Autorità alcuna funzione preliminare di verifica dei contenuti della segnalazione pervenuta (cfr. Cons. St., sez. IV, 19 ottobre 2006 n. 6212); i dati sono a disposizione di tutte le stazioni appaltanti per l’individuazione delle imprese nei cui confronti sussistono cause di esclusione dalle procedure di affidamento di lavori pubblici. Dunque, l’inserzione di un dato negativo per l’impresa nell’osservatorio svolge una funzione di pubblicità-notizia, non ha natura provvedimentale e deve essere effettuata del tutto automaticamente dopo la sua comunicazione dalla stazione appaltante.

TAR Catania, Sezione IV – Sentenza 10/05/2007 n. 769
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

L’integrazione postuma della mancata presentazione della ricevuto di versamento del contributo all’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici viola il fondamentale principio della par condicio tra concorrenti. Pertanto, la circostanza che l’Impresa ricorrente si sia premurata, a conclusione delle operazioni di apertura dei plichi e di lettura delle offerte delle ditte non ammesse, di presentare l’originale della ricevuta del versamento, è del tutto irrilevante, essendo avvenuta oltre il termine massimo di presentazione delle offerte.

TAR Catania, Sezione IV – Sentenza 10/05/2007 n. 769
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

Ai sensi dell’art. 1, commi 65 e 67 della L. 23/12/05, n. 266 e della conseguente deliberazione dell’Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici del 26 gennaio 2006, l’ammissione alla gara è condizionata alla presentazione, unitamente agli altri documenti richiesti per la partecipazione, dell’originale della ricevuta del contributo versato all’Autorità. La dimostrazione del pagamento del contributo costituisce requisito di partecipazione e, la sua mancanza è causa di esclusione, in quanto il legislatore ha specificato chiaramente che il versamento è “condizione di ammissibilità dell’offerta”, quindi requisito o presupposto che viene richiesto ai fini della partecipazione alla gara. Ciò vale anche laddove non previsto nel bando di gara in base al principio secondo cui le disposizioni imperative, quale quella che impone detto versamento a titolo di onere per la stessa partecipazione ad una pubblica gara, costituiscono parte integrante, anche per quanto attiene alla loro cogenza, del bando di gara, attesa la totale assenza di discrezionalità dell’amministrazione in ordine alla sua applicabilità ed efficacia.

TAR Roma, Sezione III – Sentenza 10/05/2007 n. 4215
d.lgs 163/06 Articoli 6, 73 – Codici 6.1, 73.1

La Determinazione n. 10/03 (all. C lett. m) adottata dall’Autorità medesima include l’ipotesi che “non siano decorsi i termini previsti per ricorrere al giudice ordinario o all’arbitrato, ovvero siano in corso i relativi procedimenti a seguito della dichiarazione… di errata esecuzione del contratto che abbia comportato la risoluzione dello stesso per inadempimento dell’appaltatore ai sensi dell’art. 119 del d.P.R. n. 554/99” tra i casi di integrazione delle annotazioni. L’annotazione che reca la sola dicitura della responsabilità della ditta “per grave inadempimento agli obblighi contrattuali e grave ritardo nell’esecuzione dei lavori”, in ragione dei quali è stata disposta la risoluzione del contratto deve essere ritenuta illegittima nella parte in cui non menziona la pendenza di un contenzioso in sede civile nei confronti del provvedimento di risoluzione, in conformità a quanto stabilito dalla citata delibera dell’Autorità.

TAR Palermo, Sezione III – Sentenza 18/03/2011 n. 504
d.lgs 163/06 Articoli 244, 7 – Codici 244.1, 7.1

L’iscrizione nel casellario informatico postula, da parte dell’Autorità di vigilanza, un procedimento istruttorio di verifica circa l’esistenza dei presupposti e la loro effettiva rilevanza, cui ciascuna impresa interessata può partecipare, inviando le proprie controdeduzioni. Il che significa che, fino a quando l’annotazione non sia stata effettuata, la non veridicità della dichiarazione potrebbe non essere ritenuta tale o comunque rilevante dall’Autorità medesima. A ciò consegue che il provvedimento lesivo è costituito dall’annotazione da parte della predetta Autorità, mentre la segnalazione da parte della stazione appaltante si configura come atto prodromico ed endoprocedimentale e, come tale, non è immediatamente impugnabile in quanto non dotato di autonoma lesività, potendo essere fatti valere eventuali suoi vizi, unicamente in via derivata, impugnando il provvedimento finale dell’Autorità di vigilanza, unico atto avente natura provvedimentale e carattere autoritativo e, perciò, lesivo (v. Cons. Stato, VI, 5 luglio 2010, n. 4243; 4 agosto 2009, nn. 4906, 4905 e 4907 ; T.R.G.A. Trento, 26 gennaio 2011, n. 16; 30 luglio 2009, n. 226; T.A.R. Lazio, III, 11 novembre 2009, n. 11068; T.A.R. Puglia, Bari, I, 16 luglio 2008, n. 1755). Ne deriva che l’impugnazione della segnalazione all’Autorità di Vigilanza deve ritenersi inammissibile per carenza di interesse, non avendo tale comunicazione alcuna immediata lesività per la cooperativa ricorrente.

TAR Roma, Sezione III – Sentenza 22/02/2011 n. 1652
d.lgs 163/06 Articoli 244, 7 – Codici 244.1, 7.1

L’annotazione della mancata autorizzazione del subappalto effettuata nel Casellario Informatico ai sensi della lett. t) (concernente “tutte le altre notizie riguardanti le imprese che, anche indipendentemente dall’esecuzione dei lavori, sono dall’Osservatorio ritenute utili ai fini della tenuta del casellario”) dell’art. 27 del D.P.R. n. 34/2000 (senza alcun riferimento a false dichiarazioni), non comporta automatica preclusione annuale di partecipazione a gare per affidamento di pubbliche commesse.

TAR Napoli, Sezione VIII – Sentenza 10/02/2011 n. 826
d.lgs 163/06 Articoli 244, 7 – Codici 244.1, 7.1

Il casellario informatico assolve ad una importante funzione pubblicitaria, consentendo alle stazioni appaltanti di acquisire le notizie sulle imprese operanti nel mercato degli appalti pubblici e di accertare eventuali cause di esclusione come, ad esempio, quella prevista dall’art. 38, lett. h) del D.Lgs. n. 163/2006. In relazione alla citata causa di esclusione, l’art. 38 prevede che l’elemento preclusivo alla partecipazione costituito dalle false dichiarazioni deve risultare “dai dati in possesso dell’Osservatorio” e quindi dalle risultanze del Casellario informatico. La segnalazione circa la sussistenza di false dichiarazioni comporta una valutazione discrezionale da parte della stazione appaltante che indice la gara e l’iscrizione presuppone una fase in contraddittorio ed un residuo controllo da parte dell’Autorità di Vigilanza in ordine alla sussistenza dei presupposti o comunque all’inconferenza della notizia comunicata dalla stazione appaltante, sicché la doverosità dell’annotazione nel casellario non è un fatto meramente automatico (Consiglio di Stato, Sez. VI, 24 dicembre 2009 n. 8720), tanto che deve ritenersi illegittima l’iscrizione di una asserita “falsa dichiarazione” (così qualificata dalla stazione appaltante) con omissione delle garanzie partecipative (Consiglio di Stato, Sez. VI, 4 agosto 2009 n. 4905). L’effetto della falsa dichiarazione risultante dai dati in possesso del casellario informatico è quello della esclusione della impresa da tutte le gare per un periodo di tempo pari ad un anno ai sensi dell’art. 38, lett. h) del codice degli appalti.

TAR Roma, Sezione III – Sentenza 13/04/2010 n. 6640
d.lgs 163/06 Articoli 244, 7 – Codici 244.1, 7.1

L’annotazione nel casellario informatico ha un autonomo contenuto lesivo, in base alla espressa previsione dell’art. 38, lettera h), del D.Lgs. n. 163 del 12/4/2006. Poiché, in base a tale norma, costituisce una autonoma causa di esclusione dalla partecipazione alle gare pubbliche, aver reso, nell’anno antecedente la pubblicazione del bando di gara, false dichiarazioni in merito ai requisiti ed alle condizioni rilevanti per la partecipazione “risultanti dai dati in possesso dell’osservatorio”, è con l’annotazione che si verifica la condizione per cui consegue l’esclusione dalle gare per un anno. Come per tutti i provvedimenti sanzionatori, l’efficacia della sospensione non può che decorrere dal momento del provvedimento o, anzi, dalla sua comunicazione al destinatario, trattandosi di provvedimento per sua natura recettizio. L’annotazione non può essere considerata, quando comporti l’esclusione dalle gare per l’anno successivo, altro che una sanzione ulteriore disposta dalla Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici, accanto alle misure previste dall’art. 6, comma 11 e dall’articolo 48 del D. Lgs. 12 aprile 2006, n. 163. Pertanto può essere legittimamente adottata solo a seguito di un procedimento che assicuri il contraddittorio dell’interessato e la valutazione da parte dell’Autorità del presupposto per procedere all’annotazione, in particolare in relazione alla falsità delle dichiarazioni. Ne deriva che, per rispettare la razionalità e la logicità del sistema, l’annotazione non può configurarsi come un atto automatico e dovuto, meramente consequenziale alla comunicazione dell’esclusione da parte della stazione appaltante. Si deve ravvisare, dunque, pena la irrazionalità del sistema sanzionatorio in materia di contratti pubblici, in capo all’Autorità un potere valutativo che impone l’analisi delle eventuali esimenti addotte dall’impresa al fine di escludere la propria responsabilità per dichiarazioni non veritiere.

Consiglio di Stato, Sezione VI – Sentenza 24/12/2009 n. 8720
d.lgs 163/06 Articoli 244, 7 – Codici 244.1, 7.1

Dell’avvio del procedimento di iscrizione di dati nel casellario informatico presso l’Autorità deve essere notiziato l’interessato, anche quando la trasmissione di atti al casellario, da parte delle stazioni appaltanti, è dovuta in adempimento di disposizioni di legge, attese le conseguenze rilevanti che derivano da tale iscrizione e l’indubbio interesse del soggetto all’esattezza delle iscrizioni. Né dalla l. n. 241/1990, né dal sistema della legislazione sui pubblici appalti, si desume una deroga al principio generale dell’avviso di avvio del procedimento, quanto allo specifico procedimento di iscrizione dei dati nel casellario informatico presso l’Osservatorio. Piuttosto, in alcuni casi, si può ritenere che vi siano equipollenti dell’autonomo avviso di avvio del procedimento. Così, quanto ai provvedimenti di esclusione, posto che la loro comunicazione dalla stazione appaltante all’Osservatorio è dovuta per legge, senza margini di opinabilità o apprezzamento, si può ritenere che la comunicazione del provvedimento di esclusione al concorrente costituisca anche equipollente dell’avviso di avvio del procedimento di iscrizione nel casellario informatico, che consegue ex lege. Lo stesso è a dirsi quanto ai dati relativi alle imprese qualificate, che si desumono dal provvedimento di qualificazione (attestazione SOA). Infatti, posto che l’iscrizione di tali dati è prevista per legge, la comunicazione all’interessato del provvedimento di qualificazione (attestazione SOA), rende conoscibile da parte del destinatario la circostanza che i dati saranno inseriti nel casellario informatico. In termini più generali, quando la legge prescrive in via automatica la segnalazione di determinati dati all’Osservatorio, senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale in ordine al se della comunicazione e al contenuto della stessa, si possono, come regola generale, individuare equipollenti dell’avviso di avvio del procedimento di iscrizione. Diverso discorso va svolto per dati la cui comunicazione non è automatica e dovuta, ma frutto di valutazioni da parte della stazione appaltante, su dati opinabili: ciò accade ad es. nel caso di segnalazione di episodi di grave negligenza o grave inadempimento, e nel caso di false dichiarazioni. Infatti in tali casi la stazione appaltante, per effettuare la segnalazione, deve valutare se vi è o meno grave negligenza, grave inadempimento, falsità della dichiarazione. Sicché, l’interessato non può sapere ex ante se e quando tale valutazione verrà svolta in senso affermativo, e se vi sarà o meno segnalazione all’Osservatorio. Pertanto, dell’avvio del procedimento di iscrizione nel casellario va dato avviso all’interessato, salvo a individuare caso per caso equipollenti idonei allo scopo (p.es. comunicazione dell’esclusione per grave negligenza o falsa dichiarazione, accompagnata dall’avviso che l’atto viene trasmesso anche all’Osservatorio). Una conferma della necessità di garantire la partecipazione (mediante avviso di avvio del procedimento e mediante contraddittorio) nel procedimento di iscrizione di dati e notizie nel casellario informatico si desume dalla determinazione n. 1/2008 dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, che ha istituito il casellario informatico per servizi e forniture. In detta determinazione si dispone che al fine di consentire la tutela dell’operatore economico, la stazione appaltante deve notificare a quest’ultimo, ai sensi dell’art. 79, d.lgs. n. 163/2006, il provvedimento di esclusione dello stesso dalla gara, precisando che detto provvedimento è congiuntamente comunicato all’Autorità per l’inserimento del dato nel casellario informatico, il che potrà consentire all’operatore economico di fornire all’Autorità un’utile informazione relativamente ad iniziative giurisdizionali intraprese. Analogamente, la stazione appaltante informa l’operatore economico circa le altre comunicazioni inoltrate all’Autorità. Prima di disporre l’iscrizione nel casellario, l’Autorità procede alle verifiche del caso. La determinazione n. 1/2008 dispone infatti che l’Autorità, posta a conoscenza del provvedimento di esclusione disposto dalla stazione appaltante e dell’eventuale dichiarazione non veritiera resa dall’operatore economico, procede alla puntuale e completa annotazione dei relativi contenuti nel casellario informatico, salvo il caso che consti l’inesistenza in punto di fatto dei presupposti o comunque l’inconferenza della notizia comunicata dalla stazione appaltante. Nei confronti dell’operatore economico escluso anche per aver fornito dati o documenti non veritieri circa il possesso dei requisiti prescritti per la partecipazione alla procedura di affidamento viene instaurato un procedimento in contraddittorio. Sulla scorta di tali argomenti, una parte della giurisprudenza ha ritenuto che deve ritenersi legittima l’iscrizione del provvedimento di esclusione, con omissione delle garanzie di partecipazione; deve invece ritenersi illegittima l’iscrizione di una asserita <<falsa dichiarazione>>(così qualificata dalla stazione appaltante) con omissione delle garanzie partecipative (Cons. St., sez. VI, 4 agosto 2009 n. 4905).

TAR Cagliari, Sezione I – Sentenza 09/10/2009 n. 1512
d.lgs 163/06 Articoli 244, 7 – Codici 244.1, 7.1

L’impresa ha interesse ad ottenere l’annullamento di un’annotazione sul casellario informatico (art. 27, D.P.R. 25 gennaio 2000 n. 34), che si riveli, in tutto od in parte, non aderente alla realtà dei fatti, anche al fine di evitare l’esclusione automatica dalle gare in relazione alla disciplina delle diverse cause di esclusione previste dall’art. 38, D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163 (fattispecie relativa a gravi violazioni in materia di sicurezza, rilevanti ai fini di cui all’art. 38, comma 1, lett. e), D. Lgs. 12 aprile 2006 n. 163).

TAR Roma, Sezione III – Sentenza 21/09/2009 n. 9039
d.lgs 163/06 Articoli 244, 7 – Codici 244.1, 7.1

L’esclusione da una pubblica gara per l’affidamento di appalto per dichiarazione mendace nel corso della stessa, oltre a determinare l’estromissione dalla gara, fa sorgere, altresì, l’obbligo per le stazioni appaltanti di comunicazione all’Osservatorio dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture di cui all’art. 7, codice degli appalti, che riceve, come noto, tutte le notizie che riguardino le imprese qualificate e le gare cui esse partecipino, il che è condizione sufficiente per l’attivazione del procedimento che si conclude con l’annotazione nel Casellario informatico dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture istituito presso l’Osservatorio ai sensi del citato art. 7, comma 10; per tale ultimo aspetto, se da un lato assume importanza fondamentale per l’impresa conoscere le ragioni in forza delle quali è stata disposta l’esclusione, dall’altro è indubitabile come la stessa, avuta contezza di ciò, se ritiene priva di fondamento giuridico, oltre che fattuale, la rilevata violazione, non possa fare altro che attivare i rimedi previsti dall’ordinamento per la rimozione degli effetti di tale esclusione, in quanto gli stessi non sono circoscrivibili alla sola espulsione dalla procedura concorsuale, ma estensibili anche agli ulteriori effetti che l’ordinamento stesso ha previsto. Ed invero, l’art. 27 del d.P.R. n. 34 del 2000, che ha istituito il Casellario informatico delle imprese qualificate nel settore dei lavori pubblici, prevede l’inserimento dei dati relativi a eventuali provvedimenti di esclusione dalle gare ai sensi dell’articolo 8, comma 7, della legge 109/94 (ora trasfusa nel codice degli appalti) adottati dalle stazioni appaltanti (lett. r); e le eventuali falsità nelle dichiarazioni rese in merito ai requisiti e alle condizioni rilevanti per la partecipazione alle procedure di gara (lett. s). La giurisprudenza amministrativa si è più volte pronunciata circa la natura dell’attività posta in essere dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture in sede di inserimento dei dati nel casellario informatico sulla base delle segnalazioni pervenute, da considerarsi meramente esecutiva, con la conseguenza che, nella struttura della norma dell’art. 27, d.P.R. 25 gennaio 2000 n. 34, non compete all’Autorità una verifica preliminare dei contenuti sostanziali delle segnalazioni, ad eccezione della verifica di riconducibilità delle stesse alle ipotesi tipiche elencate dalla norma medesima (ex multis, TAR Lazio, Sez. III, 12 agosto 2003, n. 7052); peraltro, mancando ogni discrezionalità in capo all’Autorità, è escluso, altresì, l’obbligo di motivazione e l’applicazione di istituti partecipativi (comunicazione di avvio, contraddittorio).

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 04/08/2009 n. 4906
d.lgs 163/06 Articoli 244, 7 – Codici 244.1, 7.1

Dell’avvio del procedimento di iscrizione di dati nel casellario informatico presso l’Autorità deve essere notiziato l’interessato, anche quando la trasmissione di atti al casellario, da parte delle stazioni appaltanti, è dovuta in adempimento di disposizioni di legge, attese le conseguenze rilevanti che derivano da tale iscrizione e l’indubbio interesse del soggetto all’esattezza delle iscrizioni. Invero, né dalla l. n. 241/1990, né dal sistema della legislazione sui pubblici appalti, si desume una deroga al principio generale dell’avviso di avvio del procedimento, quanto allo specifico procedimento di iscrizione dei dati nel casellario informatico presso l’Osservatorio. Anzi, una conferma della necessità di garantire la partecipazione (mediante avviso di avvio del procedimento e mediante contraddittorio) nel procedimento di iscrizione di dati e notizie nel casellario informatico si desume proprio dalla determinazione n. 1/2008 dell’Autorità di vigilanza sui contratti pubblici, che ha istituito il casellario informatico per servizi e forniture. In detta determinazione si dispone che al fine di consentire la tutela dell’operatore economico, la stazione appaltante deve notificare a quest’ultimo, ai sensi dell’art. 79, d.lgs. n. 163/2006, il provvedimento di esclusione dello stesso dalla gara, precisando che detto provvedimento è congiuntamente comunicato all’Autorità per l’inserimento del dato nel casellario informatico, il che potrà consentire all’operatore economico di fornire all’Autorità un’utile informazione relativamente ad iniziative giurisdizionali intraprese. Analogamente, la stazione appaltante informa l’operatore economico circa le altre comunicazioni inoltrate all’Autorità. Prima di disporre l’iscrizione nel casellario, l’Autorità procede alle verifiche del caso. La determinazione n. 1/2008 dispone infatti che l’Autorità, posta a conoscenza del provvedimento di esclusione disposto dalla stazione appaltante e dell’eventuale dichiarazione non veritiera resa dall’operatore economico, procede alla puntuale e completa annotazione dei relativi contenuti nel casellario informatico, salvo il caso che consti l’inesistenza in punto di fatto dei presupposti o comunque l’inconferenza della notizia comunicata dalla stazione appaltante. Nei confronti dell’operatore economico escluso anche per aver fornito dati o documenti non veritieri circa il possesso dei requisiti prescritti per la partecipazione alla procedura di affidamento viene instaurato un procedimento in contraddittorio. In alcuni casi, si può ritenere che vi siano equipollenti dell’autonomo avviso di avvio del procedimento. Così, quanto ai provvedimenti di esclusione, posto che la loro comunicazione dalla stazione appaltante all’Osservatorio è dovuta per legge, senza margini di opinabilità o apprezzamento, si può ritenere che la comunicazione del provvedimento di esclusione al concorrente costituisca anche equipollente dell’avviso di avvio del procedimento di iscrizione nel casellario informatico, che consegue ex lege. Lo stesso è a dirsi quanto ai dati relativi alle imprese qualificate, che si desumono dal provvedimento di qualificazione (attestazione SOA). Infatti, posto che l’iscrizione di tali dati è prevista per legge, la comunicazione all’interessato del provvedimento di qualificazione (attestazione SOA), rende conoscibile da parte del destinatario la circostanza che i dati saranno inseriti nel casellario informatico. In termini più generali, quando la legge prescrive in via automatica la segnalazione di determinati dati all’Osservatorio, senza alcuna possibilità di valutazione discrezionale in ordine al se della comunicazione e al contenuto della stessa, si possono, come regola generale, individuare equipollenti dell’avviso di avvio del procedimento di iscrizione. Diverso discorso va svolto per dati la cui comunicazione non è automatica e dovuta, ma frutto di valutazioni da parte della stazione appaltante, su dati opinabili: ciò accade ad es. nel caso di segnalazione di episodi di grave negligenza o grave inadempimento, e nel caso di false dichiarazioni. Infatti in tali casi la stazione appaltante, per effettuare la segnalazione, deve valutare se vi è o meno grave negligenza, grave inadempimento, falsità della dichiarazione. Sicché, l’interessato non può sapereex ante se e quando tale valutazione verrà svolta in senso affermativo, e se vi sarà o meno segnalazione all’Osservatorio. Pertanto, dell’avvio del procedimento di iscrizione nel casellario va dato avviso all’interessato, salvo a individuare caso per caso equipollenti idonei allo scopo (p.es. comunicazione dell’esclusione per grave negligenza o falsa dichiarazione, accompagnata dall’avviso che l’atto viene trasmesso anche all’Osservatorio).

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 04/08/2009 n. 4906
d.lgs 163/06 Articoli 244, 7 – Codici 244.1, 7.1

Non può escludersi che, nelle more del nuovo regolamento, il casellario informatico per servizi e forniture venga attivato con delibera dell’Autorità di vigilanza, come è avvenuto in virtù della delibera n. 1/2008. Infatti dall’intero sistema del codice, anche prima del terzo correttivo, si desume che il casellario informatico riguarda anche i servizi e le forniture, e che è ritenuto immediatamente operante. Sicché, il terzo correttivo ha una portata esplicativa di un principio già desumibile dal codice nella sua precedente formulazione. Infatti l’art. 38, co. 1, lett. e), h), n-bis), prevede cause di esclusione per comprovare le quali vanno utilizzati i dati in possesso dell’Osservatorio, ovvero del casellario. Si tratta di cause di esclusione comuni a servizi, lavori, forniture. Il codice dà dunque per presupposto, essendo le cause di esclusione di immediata applicazione, che sia attivato lo strumento attuativo, vale a dire il casellario, anche per servizi e forniture. E il potere di attivazione spetta all’Autorità, che nell’esercizio del potere di vigilanza è anche portatrice del potere di chiedere dati e informazioni alle stazioni appaltanti: sicché ben può stabilire, con delibera di carattere generale, quali atti e documenti le stazioni appaltanti sono tenute a trasmettere (art. 6, co. 9, lett. a), codice).

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 04/08/2009 n. 4906
d.lgs 163/06 Articoli 244, 7 – Codici 244.1, 7.1

La segnalazione all’Autorità circa la esclusione di una impresa va fatta non solo nel caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine speciale in sede di controllo a campione, ma anche in caso di riscontrato difetto dei requisiti di ordine generale (secondo quanto più volte statuito da questo Consesso: Cons. St., sez. IV, 7 settembre 2004 n. 5792; Cons. St., sez. V, 12 febbraio 2007 n. 554).

TAR Napoli, Sezione I – Sentenza 16/11/2007 n. 13729
d.lgs 163/06 Articoli 244, 7 – Codici 244.1, 7.1

L’art 38 lettera h) del D.lgs. 12 aprile 2006 n. 163 prevede che le false dichiarazioni rese entro l’anno antecedente a quello di pubblicazione del bando che impongano l’estromissione debbano risultare dai dati in possesso dall’Osservatorio consiste in una prescrizione non applicabile diversamente se non con riferimento a dati acquisiti dall’Osservatorio, sia per la portata di stretta applicazione di tale disposizione in materia di esclusione, sia per l’esigenza di evitare che l’estromissione venga rimessa a poteri di accertamento e di valutazione affidati alla sola stazione appaltante. In altri termini, la disposizione con il riferirsi ad un unico soggetto ai fini dell’acquisizione dei dati afferenti false dichiarazioni ha inteso dare vita ad un sistema di accertamento e rilevazione unitario, valido su tutto il territorio nazionale, e che funga anche da garanzia per le imprese del settore a che solo a quei dati ufficiali si debba fare riferimento.

Consiglio di Stato, Sezione IV – Sentenza 04/10/2007 n. 5197
d.lgs 163/06 Articoli 244, 7 – Codici 244.1, 7.1

L’inserzione nel casellario informatico, di cui all’art. 27 del d.p.r. 25 gennaio 2000 n. 34, di dati negativi (quali precedenti esclusioni da gare) a carico di un’impresa ha solo la finalità di rendere pubblicamente noti i fatti ivi annotati, la cui valutazione, ai fini dell’esclusione o non da successive gare, resta demandata alla singola stazione appaltante che rimane titolare del relativo potere ( a meno che non si tratti di “sospensione” dalla partecipazione espressamente ed autonomamente disposta dall’Autorità di vigilanza sui lavori pubblici, caso che qui non ricorre). L’attività posta in essere dall’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture di inserimento dei dati nel casellario informatico è, inoltre, meramente esecutiva, senza che competa a detta Autorità alcuna funzione preliminare di verifica dei contenuti della segnalazione pervenuta (cfr. Cons. St., sez. IV, 19 ottobre 2006 n. 6212); i dati sono a disposizione di tutte le stazioni appaltanti per l’individuazione delle imprese nei cui confronti sussistono cause di esclusione dalle procedure di affidamento di lavori pubblici. Dunque, l’inserzione di un dato negativo per l’impresa nell’osservatorio svolge una funzione di pubblicità-notizia, non ha natura provvedimentale e deve essere effettuata del tutto automaticamente dopo la sua comunicazione dalla stazione appaltante.

TAR Calabria – Sentenza 25/08/2011 n. 1168
d.lgs 163/06 Articoli 11, 54 – Codici 11.1, 54.1

Con specifico riferimento alla revoca di una gara d’appalto, è necessaria una puntuale e accurata motivazione sulla sopravvenuta diversa valutazione dell’interesse pubblico che ne aveva consigliato l’indizione, in particolare ove sia intervenuta la stipula del contratto di appalto. L’innovata disciplina positiva data all’istituto della revoca del provvedimento amministrativo dal legislatore, con l’introduzione dell’art. 21-quinquies l. 7 agosto 1990 n. 241, ne ha dilatato la preesistente nozione elaborata dall’insegnamento dottrinario e giurisprudenziale, ricomprendendo in essa sia il c.d. ius poenitendi, che consente alla Pubblica amministrazione di ritirare i provvedimenti ad efficacia durevole sulla base di sopravvenuti motivi di interesse pubblico ovvero di mutamenti della situazione di fatto, sia di rivedere il proprio operato in corso di svolgimento e di modificarlo, perché evidentemente ritenuto affetto da inopportunità, in virtù di una rinnovata diversa valutazione dell’interesse pubblico originario. Pertanto, il sopravvenire di ragioni anche di mera opportunità che rendano non consigliabile, nella valutazione dei diversi interessi coinvolti nella fattispecie, il permanere di un atto che ha regolato la fattispecie, costituisce una circostanza bastevole a giustificare il ritiro dell’atto sub specie di revoca. L’indennizzo di cui all’art. 21 quinquies della legge n. 241 del 1990 delinea una fattispecie riconducibile al modello dogmatico della responsabilità da atto lecito dannoso in cui l’atto di revoca rileva di per sé, prescindendo dall’elemento soggettivo della colpa, quale fattore cui conseguono risvolti patrimoniali a carico dell’amministrazione in relazione agli eventuali pregiudizi che dovessero verificarsi a carico degli amministrati.

TAR Roma, Sezione II ter – Sentenza 09/05/2011 n. 3994
d.lgs 163/06 Articoli 11, 54 – Codici 11.1, 54.1

Ai sensi dell’art. 11, comma 8, del d.lgs. n. 163/2006, la fase di verifica del possesso dei requisiti prescritti per la partecipazione alla gara può essere effettuata anche dopo l’adozione dell’aggiudicazione definitiva posto che la norma citata subordina l’efficacia dell’atto a tale adempimento.

TAR Palemo, Sezione I – Sentenza 04/02/2011 n. 210
d.lgs 163/06 Articoli 11, 54 – Codici 11.1, 54.1

La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione ex art. 1337 c.c. non è configurabile anteriormente alla scelta del contraente, nella fase, cioè, in cui gli interessati non hanno ancora la qualità di futuri contraenti, ma soltanto quella di partecipanti alla gara e vantano esclusivamente una posizione di interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione, mentre non sussiste una relazione specifica di svolgimento delle trattative. Conseguenzialmente non sussiste il diritto al risarcimento del danno ex art. 1337 c.c. a favore dell’impresa che abbia presentato domanda di partecipazione a una procedura ad evidenza pubblica, che la stazione appaltante abbia revocato adducendo motivi finanziari.

TAR Palermo, Sezione I – Sentenza 04/02/2011 n. 210
d.lgs 163/06 Articoli 11, 54 – Codici 11.1, 54.1

Secondo il condiviso orientamento giurisprudenziale, nel caso di revoca d’ufficio di un atto endoprocedimentale inserito in una gara d’appalto non è richiesta alcuna comunicazione di avvio del procedimento, dovendosi ritenere la stazione appaltante obbligata al rispetto delle garanzie partecipative solo quando l’esercizio del potere di autotutela abbia ad oggetto l’aggiudicazione definitiva, in ragione della posizione di vantaggio che solo quest’ultima costituisce in capo all’impresa aggiudicataria. Gli atti endoprocedimentali, avendo effetti instabili ed interinali, non sono infatti idonei a generare nei partecipanti una posizione consolidata di vantaggio, con la conseguenza che sull’Amministrazione, la quale intende esercitare il potere di autotutela, incombe un onere di motivazione fortemente attenuato circa le ragioni di interesse pubblico che lo hanno determinato, essendo sufficiente che sia reso palese il ragionamento seguito per giungere alla determinazione negativa attraverso l’indicazione degli elementi concreti ed obiettivi, in base ai quali si ritiene di non dare corso ulteriore al procedimento. Un atto di ritiro intervenuto prima della celebrazione della gara, e pertanto in una fase nella quale non era stato adottato alcun provvedimento di aggiudicazione neppure provvisorio, va correttamente qualificato come atto endoprocedimentale, con il quale l’Amministrazione non ha annullato in autotutela una aggiudicazione, ma ha “interrotto” la procedura di gara, con conseguente esclusione dell’obbligo di comunicazione dell’avvio del relativo procedimento. Ne deriva, altresì, che non vi è necessità di una motivazione “rafforzata”, che si soffermi sui profili di illegittimità dell’atto e sulle ragioni di interesse pubblico sottostanti al ritiro, dovendosi ritenere il provvedimento adeguatamente giustificato dal riferimento al venir meno della copertura finanziaria dell’appalto, esistente al momento della indizione della gara. Nessuna rilevanza assume la circostanza che le ragioni sottostanti al ritiro siano state rese esplicite con atto successivo, essendo noto che il dogma della inammissibilità dell’integrazione postuma della motivazione dei provvedimenti vincolati è stato messo in discussione (e da molti ritenuto definitivamente superato) alla luce dell’art. 21 octies, comma 2, prima parte, l. n. 241 del 1990, introdotto dall’articolo 14, l. n. 15 del 2005, ritenendosi in giurisprudenza che una motivazione incompleta può essere integrata e ricostruita attraverso gli atti del procedimento amministrativo, restando preclusa solo l’integrazione effettuata negli argomenti difensivi dedotti nel processo.

Consiglio di Stato, Sezione VI – Sentenza 03/02/2011 n. 780
d.lgs 163/06 Articoli 11, 54 – Codici 11.1, 54.1

Per principio generale, l’Amministrazione deve sempre evitare di concludere un contratto contrastante con norme imperative e cioè: – deve interrompere la trattativa privata avviata quando sia prescritta la gara ad evidenza pubblica; – deve annullare gli atti della gara ad evidenza pubblica, se il previsto contratto di per sé risulta in contrasto con una norma imperativa. Infatti, l’ordinamento da un lato apprezza con favore il ritorno alla legalità, prevedendo i poteri di autotutela dell’Amministrazione, dall’altro non prende in favorevole considerazione – sotto il profilo di possibili pretese risarcitorie – la posizione di coloro che, coinvolti nella trattativa privata o nella gara finalizzate alla stipula del contratto che si rilevi contra legem, abbiano consapevolmente o colposamente aderito alla iniziativa illegittima dell’Amministrazione.

Corte di Cassazione, sezione civile, Sezione Sezioni unite – Sentenza 11/01/2011 n. 391
d.lgs 163/06 Articoli 11, 54 – Codici 11.1, 54.1

Il verbale di aggiudicazione di una licitazione privata non necessariamente equivale a ogni effetto legale al contratto, perchè l’art. 16 della legge di contabilità dello Stato (R.D. 18 novembre 1923, n. 2440) è norma dispositiva, che si presta a essere derogata nel senso di escludere che l’aggiudicazione, oltre a concludere il procedimento di scelta del contraente, produca da sè la conclusione dell’accordo (Cass. S.U. 26/06/2003, n. 10160; Cass. S.U. 11.6.1998, n. 5807). A maggior ragione quindi questa norma, che è dettata in tema di contabilità generale dello Stato, può essere derogate da una norma regionale nell’ambito di una materia, la cui competenza si appartenga alla regione.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 10/09/2009 n. 5427
d.lgs 163/06 Articoli 11, 54 – Codici 11.1, 54.1

La giurisprudenza ammette effettivamente che, quantunque nei contratti della pubblica amministrazione l’aggiudicazione, quale atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, segni di norma il momento dell’incontro della volontà della stessa amministrazione di concludere il contratto e del privato, manifestata con l’individuazione dell’offerta ritenuta migliore, non è tuttavia precluso all’amministrazione di procedere, con atto successivo, purchè adeguatamente motivato con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico, alla revoca d’ufficio o all’annullamento dell’aggiudicazione, fondandosi detta potestà di annullamento in autotutela sul principio costituzionale di buon andamento che impegna la pubblica amministrazione ad adottare atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire (C.d.S., sez. IV, 31 ottobre 2006, n. 6456); è stato poi più volte sottolineato l’obbligo incombente sull’amministrazione di fornire una adeguata motivazione in ordine agli affermati motivi di opportunità che, alla luce della comparazione dell’interesse pubblico con le contrapposte posizioni consolidate dei partecipanti alla gara, giustificano il provvedimento di autotutela (C.d.S., sez. V, 7 gennaio 2009, n. 17). Laddove sia mancata la puntuale indicazione dei motivi di interesse pubblico alla revoca dell’aggiudicazione, quale momento conclusivo della fase procedimentale e pubblicistica della scelta del contraente, che non può essere confusa con quella negoziale di esecuzione, sia pur in via di mero fatto, delle obbligazioni contrattuali, la revoca non può ritenersi legittima. Come nel caso in cui l’amministrazione abbia ancorato il proprio provvedimento di revoca non già con riferimento ad elementi, preesistenti alla procedura gara o sopravvenuti nelle more della stipula del contratto riguardanti la ditta aggiudicataria (quali per esempio la obiettiva carenza o l’inidoneità dei mezzi indicati per l’espletamento della gara ovvero la mancanza delle autorizzazioni di legge all’esercizio del trasporto di studenti ovvero la sopravvenuta incapacità finanziaria), quanto piuttosto ad un giudizio prognostico, ma meramente ipotetico, di incapacità dell’aggiudicataria di espletare il servizio affidato a causa delle irregolarità ed inadempienze nel periodo di prova.

TAR Roma, Sezione II ter – Sentenza 09/12/2008 n. 11146
d.lgs 163/06 Articoli 11, 54 – Codici 11.1, 54.1

Non è precluso alla stazione appaltante di procedere alla revoca o all’annullamento dell’aggiudicazione allorché la gara stessa non risponda più alle esigenze dell’ente e sussista un interesse pubblico, concreto ed attuale, all’eliminazione degli atti divenuti inopportuni, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse dell’aggiudicatario nei confronti dell’amministrazione; un tale potere si fonda, invero, oltre che sulla disciplina di contabilità generale dello Stato che consente il diniego di approvazione per motivi di interesse pubblico (art. 113, r.d. 23 maggio 1924 n. 827), sul principio generale dell’autotutela della pubblica amministrazione, che rappresenta una delle manifestazioni tipiche del potere amministrativo, direttamente connesso ai criteri costituzionali di imparzialità e buon andamento della funzione pubblica; è evidente, però, che l’esercizio di un siffatto potere – proprio perché di segno opposto ai precedenti provvedimenti, peraltro idonei a fondare un’aspettativa nell’aggiudicatario ingenerata dalla stessa amministrazione – deve scontare un’istruttoria ed una motivazione conformi a canoni di coerenza, logicità e congruità nonché immuni da travisamento dei fatti ( T.A.R. Lazio Latina, sez. I, 17 maggio 2007 , n. 375). L’attualità e la specificità dell’interesse pubblico ad annullare un provvedimento in autotutela devono essere calibrate in funzione della fase procedimentale in cui esso interviene e, in definitiva, dell’affidamento ingenerato nel privato avvantaggiato dal provvedimento ritirato. In questa prospettiva, diverso è l’onere motivazionale richiesto dalla giurisprudenza per procedere all’annullamento degli atti di gara, a seconda della circostanza che sia intervenuta l’aggiudicazione definitiva e la stipula del contratto, ovvero che il procedimento di conclusione della gara non sia giunto completamente a termine.

TAR Lecce, Sezione III – Sentenza 15/09/2008 n. 2549
d.lgs 163/06 Articoli 11, 54 – Codici 11.1, 54.1

Sia la revoca sia l’annullamento d’ufficio di una gara d’appalto, intervenuti (come nel caso di specie) prima dell’aggiudicazione definitiva e quindi su atti endoprocedimentali, non richiedono una specifica motivazione dell’interesse pubblico, giustificandosi ex se in base alla sola dichiarata sopravvenuta inopportunità o riscontrata esistenza di vizi di legittimità, in difetto di qualsiasi effetto di consolidamento dei risultati della gara (cfr. TAR Campania Napoli, Sez. I, 8 febbraio 2006 n. 1794). Né, tantomeno, è giuridicamente apprezzabile, nelle more dell’aggiudicazione definitiva e del concreto inizio dell’attività oggetto d’appalto, il contrapposto interesse del privato alla conservazione degli atti di gara, atteso che non è ravvisabile in capo al medesimo alcuna posizione consolidata che possa postulare il riferimento ad un interesse pubblico prevalente, giustificativo del sacrificio dell’interesse privato (cfr. TAR Lazio Roma, Sez. III, 25 marzo 2005 n. 2132). Infatti, solo con l’intervento dell’aggiudicazione definitiva l’interessato acquista una posizione giuridica qualificata, meritevole di specifico apprezzamento, potendo fino a quel momento vantare nient’altro che una mera aspettativa alla conclusione in suo favore del procedimento di evidenza pubblica (cfr. TAR Lazio Roma, Sez. III, 1° settembre 2004 n. 8142).

Consiglio di Stato, Sezione IV – Sentenza 03/09/2008 n. 4115
d.lgs 163/06 Articoli 11, 54 – Codici 11.1, 54.1

La procedura di gara altro non è che la fase di individuazione del contraente con cui la p.a. stipulerà un contratto, del tutto assimilabile, sotto il profilo funzionale, alla fase delle trattative che precede la conclusione di un contratto tra soggetti privati; in questo caso, tuttavia, la fase precontrattuale è “procedimentalizzata” e rigorosamente disciplinata dalla legge in ragione non solo dell’interesse pubblicistico connesso alla prestazione oggetto del contratto in fieri, ma anche e soprattutto di evidenti esigenze di trasparenza e imparzialità che connotano l’azione della p.a. ai sensi dell’art. 97 Cost. Quanto sopra, se vale a imporre all’amministrazione rigorosi obblighi procedimentali nel senso appena precisato, non esclude però l’autonomia della stessa nella determinazione a monte del contenuto della prestazione contrattuale oggetto di affidamento, e quindi nella determinazione delle esigenze pubbliche da perseguire e delle modalità con cui dovranno essere soddisfatte in concreto (con il solo limite – come è ovvio – del rispetto dell’interesse pubblico generale). In sostanza, se si assimila il bando di gara a un invito ad offrire in incertam personam, la p.a. per le ragioni sopra evidenziate non è libera di scegliere a suo arbitrio il proprio interlocutore, ma tale limitazione non può investire anche le scelte di fondo in ordine alla determinazione delle esigenze di pubblico interesse ed alle modalità migliori per perseguirle. Tale possibilità di individuare nella procedura di gara un procedimento amministrativo che “doppia”, limitatamente alla fase precontrattuale, una vicenda che altrimenti rivestirebbe rilievo esclusivamente privatistico (secondo quella che parte della dottrina definisce “teoria del doppio grado”) trova oggi un rilevante aggancio testuale nell’art. 11, comma VII, del d.lgs. 14 aprile 2006, nr. 163, il quale, nel disporre che “l’aggiudicazione definitiva non equivale ad accettazione dell’offerta” (in tal modo ribaltando l’opposto principio contenuto nella normativa previgente), ha inteso proprio sancire la netta separazione tra il procedimento amministrativo e la vicenda contrattuale su cui s’innesta (cfr. Corte cost., sent. 23 novembre 2007, nr. 401).

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 20/03/2008 n. 1219
d.lgs 163/06 Articoli 11, 54 – Codici 11.1, 54.1

Nel caso di procedure di aggiudicazione automatiche, l’accertamento di vizi concernenti l’ammissione o l’esclusione dei concorrenti non comporta la necessità di rinnovare la procedura sin dal momento della presentazione delle offerte, perché il criterio oggettivo e vincolato dell’aggiudicazione priva di qualsiasi rilevanza l’intervenuta conoscenza, da parte del seggio di gara, dei contenuti delle altre offerte già ammesse. Nel caso di aggiudicazione basata su apprezzamenti discrezionali con attribuzione di punteggi, legati a valutazioni di ordine tecnico, l’illegittima esclusione di un concorrente, se accertata dopo l’esame delle altre offerte, rende necessario il rinnovo dell’intero procedimento di gara, a partire dalla stessa fase di presentazione delle offerte.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 04/03/2008 n. 904
d.lgs 163/06 Articoli 11, 54 – Codici 11.1, 54.1

E’ contrario ai canoni di trasparenza e buona fede dalla P.A. il provvedimento di revoca di un bando di gara pubblica ed annullamento della procedura, adottato dopo che era stato dato avviso di avvio di procedimento di revoca di un precedente atto di autotutela sospeso e non eseguito, preannunciandone la rimozione, e ciò senza ulteriore avviso del radicalmente mutato oggetto procedimentale, in quanto, così operando è stato sostanzialmente precluso l’apporto partecipativo che la stessa Amministrazione aveva mostrato di voler garantire.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 04/03/2008 n. 904
d.lgs 163/06 Articoli 11, 54 – Codici 11.1, 54.1

La partecipazione alla pubblica gara evidenzia e qualifica la posizione del concorrente che vi è ammesso, cosicché non può ragionevolmente escludersi una qualsiasi tutela a fronte degli eventuali ripensamenti dell’Amministrazione, in ordine alla scelta di non procedere alla gara e di revocare il bando; pertanto sussiste l’interesse del concorrente legittimamente ammesso alla procedura, ad impugnare il provvedimento di revoca.

TAR Roma, Sezione II ter – Sentenza 08/11/2007 n. 11057
d.lgs 163/06 Articoli 11, 54 – Codici 11.1, 54.1

Nel corso di un procedimento di scelta attraverso una gara pubblica, non è mai preclusa, sino alla aggiudicazione definitiva ad un determinato soggetto partecipante (e salva sempre la possibilità dell’annullamento anche della stessa definitiva aggiudicazione in sede di autotutela) la possibilità di escludere dall’affidamento dell’appalto, anche dopo l’aggiudicazione provvisoria,una ditta che abbia presentato l’offerta per un progetto che sia poi risultato diverso da quello per il quale era stata indetta la gara, per difformità nelle specifiche che facciano ritenere, nelle ipotesi in cui trattasi di apparecchiature o sistemi di elevate e specifiche particolarità in relazione ai particolari impieghi delle stesse ed al soddisfacimento delle altrettanto particolari esigenze per le quali la Amministrazione ha inteso dotarsi degli stessi complessi apparati, progettato ed esibito dal concorrente un sistema non identificabile con quello richiesto. Il sistema della scelta del contraente, da effettuarsi sulla base della offerta dallo stesso proposta, trova la ragione della sua disciplina mediante la osservanza di norme di diritto pubblico (prima della stipulazione del relativo contratto)nella salvaguardia dell’interesse pubblico alla realizzazione di un’opera che sia perfettamente corrispondente a quella posta in gara sicché la salvaguardia di tale primario pubblico interesse viene a trovare luogo di tutela in ogni fase del procedimento di scelta anteriore alla stipula del contratto.

TAR Bologna, Sezione I – Sentenza 26/10/2007 n. 2514
d.lgs 163/06 Articoli 11, 54 – Codici 11.1, 54.1

Gli artt. 6 e 7 della legge n. 205 del 2000, nel devolvere alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo tutte le controversie relative alle procedure di affidamento di appalti pubblici di lavori, servizi e forniture, hanno riguardo alla sola fase pubblicistica dell’appalto (in essa compresi i provvedimenti di non ammissione alla gara o di esclusione dalla stessa), e non si riferiscono alla successiva fase relativa all’esecuzione del rapporto: in questa seconda fase resta operante la giurisdizione del giudice ordinario quale giudice dei diritti, cui spetta verificare la conformità alle norme positive delle regole attraverso le quali i contraenti hanno disciplinato i loro contrapposti interessi e delle relative condotte attuative” (così Cass. SS.UU. 18/10/2005 n. 20116; cfr. anche SS.UU. 6/5/2005 n. 9391, nonché Cons. Stato, Sez. VI, 5/6/2006 n. 3345). Il contratto rappresenta il momento di separazione tra la fase pubblicistica dell’appalto, attratta nella giurisdizione del giudice amministrativo, e quella paritetica di esecuzione, riservata alla giurisdizione del giudice ordinario (così TAR Bologna, Sez. I, 11/12/2006 n. 3213), restando irrilevante che la risoluzione o, comunque, la cessazione anticipata del contratto stipulato sia disposta attraverso un atto rivestito della forma amministrativa, posto che tale atto non presenta natura provvedimentale e non può incidere, modificandola, sulla natura paritetica delle posizioni in gioco (cfr. TAR Napoli, Sez. I, 11/12/2006 n. 10455). Ù

TAR Bari, Sezione I – Sentenza 11/10/2007 n. 2553
d.lgs 163/06 Articoli 11, 54 – Codici 11.1, 54.1

Dalla disciplina contenuta nell’art. 109 del D.P.R. 21 dicembre 1999, nr. 554, in tema di stipula del contratto d’appalto e di facoltà di recesso dell’aggiudicatario, emerge con chiarezza che il legislatore ha inteso porre un limite temporale alla suindicata possibilità per l’Amministrazione di rinunciare alla stipulazione, nell’interesse dell’aggiudicatario e della stessa certezza delle relazioni giuridiche ed economiche: non casualmente, la stessa ricorrente parla di un vero e proprio “obbligo” della stazione appaltante, discendente dalla norma innanzi citata, di determinarsi in ordine a detta stipulazione entro 60 giorni dall’aggiudicazione. A tale obbligo non può non corrispondere, in capo all’aggiudicatario, un vero e proprio diritto soggettivo: ciò che è testimoniato dal meccanismo previsto dallo stesso art. 109, con lo scioglimento del medesimo aggiudicatario da ogni vincolo e la sua facoltà di recedere unilateralmente allo scadere dei 60 giorni.

TAR Aosta – Sentenza 10/10/2007 n. 123
d.lgs 163/06 Articoli 11, 54 – Codici 11.1, 54.1

La giurisprudenza è ferma nel ritenere che non sussiste l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento nel caso di revoca dell’aggiudicazione provvisoria, trattandosi di atto endoprocedimentale rispetto alla quale l’aggiudicatario può vantare una mera aspettativa alla conclusione del procedimento e non già una posizione giuridica qualificata (cfr. per tutte Consiglio Stato, IV, 29 ottobre 2002 n. 5903).

TAR Toscana, Sezione I – Sentenza 12/05/2011 n. 818
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2

La revoca dell’aggiudicazione intervenuta non nell’esercizio dello jus poenitendi ma a fronte della condotta dell’aggiudicataria che mette a rischio la realizzazione dell’interesse pubblico al cui soddisfacimento è sotteso il provvedimento revocato non è una revoca pubblicistica ma un recesso precontrattuale che deve essere giudicato secondo le regole di cui agli artt. 1337 e 1338 c.c. e in base ai canoni della buona fede precontrattuale.

TAR Roma, Sezione II ter – Sentenza 09/05/2011 n. 3994
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2

Fino alla fase di aggiudicazione definitiva della gara, la stazione appaltante conserva una ampia discrezionalità sull’esito della gara, potendo anche arrivare alla revoca dell’intera procedura, senza però sfociare nel libero arbitrio. Tale ampia discrezionalità ha portato la giurisprudenza amministrativa ad affermare, ormai univocamente, che la scelta di non procedere all’aggiudicazione definitiva, ovvero di revocare quella provvisoria, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento anche perché, in questa fase, prevale l’interesse della stazione appaltante. Secondo costante giurisprudenza l’aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, inserendosi nell’ambito della procedura di scelta del contraente come momento necessario ma non decisivo, atteso che la definitiva individuazione del concorrente cui affidare l’appalto risulta cristallizzata soltanto con l’aggiudicazione definitiva. Da ciò deriva che, versandosi nell’unico procedimento iniziato con l’istanza di partecipazione alla gara e vantando in tal caso l’aggiudicatario provvisorio solo una aspettativa alla conclusione del procedimento, non si impone la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 06/05/2011 n. 2713
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2

Il provvedimento di revoca dell’affidamento di gestione delle entrate tributarie, se supportato dalla motivata rivalutazione dell’interesse originario alla luce dell’apprezzamento dei risparmi di spesa conseguibili mediante il ricorso alla gestione in house, costituisce una legittima esplicazione del potere discrezionale di revoca e pone in atto una scelta organizzativa e gestionale che appartiene alla sfera del merito amministrativo, non sindacabile in assenza di profili di sviamento apprezzabili in sede di legittimità.

Consiglio di Stato, Sezione IV – Sentenza 03/05/2011 n. 2646
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2

L’art.79, comma 2, d.lgs. 163/2006, lett. c, dispone che la stazione appaltante comunichi ad ogni offerente che abbia presentato un’offerta selezionabile il nome dell’offerente aggiudicatario e che la comunicazione deve essere accompagnata dal provvedimento e dalla relativa motivazione, contenente almeno le caratteristiche e i vantaggi dell’offerta selezionata e il nome dell’offerente cui è stato aggiudicato il contratto. Pertanto, indipendentemente da come possa qualificarsi l’aggiudicazione che viene resa nota, ciò che rileva è che sin dal primo momento la comunicazione, ai fini della decorrenza del termine dimezzato, non può limitarsi ad indicare l’aggiudicatario e l’importo, ma deve indispensabilmente contenere anche detti elementi connotanti l’offerta prescelta

Consiglio di Stato, Sezione VI – Sentenza 19/04/2011 n. 2427
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2

Il risarcimento del mancato utile spetta, in caso di annullamento dell’aggiudicazione e di certezza dell’aggiudicazione in favore del ricorrente, nella misura integrale solo se il ricorrente dimostri di non aver potuto altrimenti utilizzare maestranze e mezzi, tenuti a disposizione in vista dell’aggiudicazione; in difetto di tale dimostrazione, è da ritenere che l’impresa possa aver ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per altri lavori o servizi, e quindi il risarcimento va decurtato nella misura del 50% per aliunde perceptum vel percipiendum.

Consiglio di Stato, Sezione IV – Sentenza 12/04/2011 n. 2283
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2

L’aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, ad effetti instabili e ancora interinali, sicché è inidonea a produrre la definitiva lesione dell’impresa risultata non aggiudicataria; tale lesione si verifica soltanto con la aggiudicazione definitiva, atto rispetto al quale va verificata la tempestività del ricorso. Di conseguenza, l’onere per l’impresa di impugnare tempestivamente gli atti della procedura di evidenza pubblica – ad eccezione dell’esclusione dalla stessa e delle clausole del bando che rendano impossibile la partecipazione alla gara – sorge solo a seguito della emanazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva.

TAR Catania, Sezione III – Sentenza 07/04/2011 n. 854
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2

In caso di richiesta di risarcimento dei danni per illegittima mancata aggiudicazione, l’eventuale disposizione del rinnovo della procedura rappresenta di per sé una forma di risarcimento in forma specifica che esclude altre forme di risarcimento, fatto salvo il risarcimento del danno emergente, purché dimostrato.

TAR Firenze, Sezione II – Sentenza 24/08/2009 n. 1400
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2

L’aggiudicazione provvisoria di un appalto ha natura di atto endoprocedimentale, ad effetti ancora instabili e del tutto interinali, sicché è inidonea a produrre la definitiva lesione dell’interesse della ditta che non è risultata vincitrice; tale lesione si verifica soltanto con l’aggiudicazione definitiva, per cui la concorrente non aggiudicataria ha non l’onere, bensì la mera facoltà di impugnare immediatamente l’aggiudicazione provvisoria, salvo l’onere di impugnare la successiva aggiudicazione definitiva (Cons. Stato, sez. V, 14 novembre 2008, n. 5691). Corollario di tale affermazione, del tutto pacifica in giurisprudenza, è che l’omessa impugnazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva rende improcedibile il ricorso avverso l’aggiudicazione provvisoria, dovendosi ritenere che l’aggiudicazione definitiva non è atto meramente confermativo o esecutivo, ma provvedimento che, anche se recepisce integralmente i risultati dell’aggiudicazione provvisoria e pur facendo parte della medesima sequenza procedimentale, comporta comunque una nuova ed autonoma valutazione e, soprattutto una autonoma dichiarazione di volontà (Cons. Stato, sez. V, 6 febbraio 2007, n. 484, id. 28 maggio 2004, n. 3465; T.A.R. Veneto, sez. I, 6 novembre 2008, n. 3451). Ne consegue che, una volta che sia impugnata l’aggiudicazione provvisoria, se non viene impugnata quella definitiva, il ricorso diviene improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, atteso che l’annullamento giurisdizionale dell’aggiudicazione provvisoria, non facendo venir meno quella definitiva, non sarebbe di alcuna utilità al ricorrente (Cons. Stato, sez. IV, 22 giugno 2006, n. 3851; id., sez. V, 11 luglio 2008, n. 3433; T.A.R. Puglia Bari, sez. I, 27 novembre 2008, n. 2686; T.A.R. Toscana, sez. II, 14 marzo 2008, n. 282).

TAR Lecce, Sezione II – Sentenza 27/03/2009 n. 587
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2

L’atto di aggiudicazione definitiva non è meramente confermativo o esecutivo, ma provvedimento che, anche se recepisce integralmente i risultati dell’aggiudicazione provvisoria e pur facendo parte della medesima sequenza procedimentale, comporta comunque una nuova ed autonoma valutazione e, soprattutto una autonoma dichiarazione di volontà. Non sussiste un obbligo, ma una mera facoltà di impugnare un’aggiudicazione in via provvisoria (essendo un atto indubbiamente lesivo degli interessi di ognuna delle imprese non aggiudicatarie, privandole dell’aspettativa di poter ottenere l’appalto ), dovendo comunque l’interessato proporre un successivo ricorso contro l’aggiudicazione definitiva. Questo secondo provvedimento infatti, ancorché pienamente conforme al primo, non può mai stimarsi alla stregua di un atto meramente esecutivo e confermativo, segnando piuttosto la definitiva conclusione dell’intera sequela procedimentale ad esso presupposta e postula una rinnovata valutazione degli atti di gara e delle vicende immediatamente successive alla conclusione dei lavori della commissione giudicatrice; esso dunque va sempre fatto oggetto di impugnazione autonoma, anche mediante la proposizione di motivi aggiunti cc.dd. “estensivi” , a pena d’improcedibilità del ricorso già rivolto contro l’aggiudicazione provvisoria.

TAR Roma, Sezione II – Sentenza 14/11/2008 n. 10237
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2

Essendo l’aggiudicazione sì un atto unilaterale della P.A., ma che non perfeziona il contratto —nella misura in cui solo la stipulazione del contratto è il momento costitutivo delle obbligazioni colà dedotte, in cui le volontà delle parti si incontrano—, fino alla stipula il procedimento d’evidenza pubblica ha carattere unitario, di talché l’eventuale annullamento dell’aggiudicazione non richiede l’avviso ex art. 7 della l. 241/1990, trattandosi dell’atto conclusivo della procedura di gara (che già di suo garantisce la partecipazione dei soggetti interessati, e non di provvedimento “di secondo grado”.

TAR Palermo, Sezione III – Sentenza 19/12/2007 n. 3461
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2

Ai sensi dell’art. 109 D.P.R. n. 554/1999, l’aggiudicatario in via definitiva, a fronte dell’inerzia dell’Amministrazione per la durata di 60 giorni dall’intervenuta aggiudicazione, può pretendere lo scioglimento da ogni impegno e tale posizione non può che qualificarsi di diritto soggettivo, in quanto il suo esercizio è rimesso unicamente al potere potestativo attribuito all’aggiudicataria, con conseguente soggezione dell’Amministrazione (cfr. Cass. S. U. n. 1962 del 16-5-1977, sia pure con riferimento all’analoga disposizione di cui all’art. 4, comma 4°, del Capitolato generale d’appalto per le opre di competenza del ministero dei lavori pubblici, approvato con D.P.R. 16.7.1962 n. 1063). In tal senso si è espresso anche il Consiglio di Stato, sezione V, nella sentenza 29 novembre 2004, n. 7772, dalle cui conclusioni, che appaiono condivisibili, questo Collegio non ravvisa ragione di discostarsi.

Consiglio di Stato, Sezione IV – Sentenza 04/10/2007 n. 5174
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2

La responsabilità pre-contrattuale dell’amministrazione per non essere addivenuta alla stipulazione del contratto d’appalto lavori dopo l’aggiudicazione, per fatti che di quest’ultima hanno imposto la revoca, è limitata all’interesse negativo.

TAR Sicilia – Sentenza 07/09/2011 n. 1603
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

Come recentemente chiarito in giurisprudenza , l’art. 12 d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163, attenendo al controllo sugli atti delle procedure di affidamento, determina, nel caso di inutile decorso del termine, la formazione del silenzio assenso sull’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria; ma non integra, diversamente, il perfezionamento dell’aggiudicazione definitiva. L’aggiudicazione definitiva, infatti, richiede una manifestazione di volontà espressa dell’amministrazione, mentre è il suo presupposto, vale a dire l’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria, che può venire in essere per effetto del comportamento inerte dell’organo amministrativo competente, tanto che, ai sensi dell’art. 11, comma 5, del D.Lgs. 163/2006, la stazione appaltante, previa verifica dell’aggiudicazione provvisoria di cui all’art. 12, comma 1, provvede all’aggiudicazione definitiva. La stazione appaltante, a fronte dell’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria, conserva senz’altro il potere discrezionale di procedere o meno all’aggiudicazione definitiva; di talché il relativo provvedimento, adottato (non solo da Autorità diversa rispetto a quella competente ai fini dell’aggiudicazione provvisoria; ma anche) nell’esercizio di un potere e sulla base di presupposti inassimilabili rispetto a quelli relativi alla medesima aggiudicazione provvisoria, impone una separata impugnazione, in difetto della quale il consolidamento dei relativi effetti priva parte ricorrente dell’interesse all’ulteriore coltivazione dell’impugnativa.

TAR Toscana – Sentenza 01/09/2011 n. 1372
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

Il potere riconoscibile alle p.a. di sospendere, revocare e/o annullare le procedure di gara, soprattutto se ancora nella fase endoprocedimentale dell’aggiudicazione provvisoria, è sempre esercitabile. Infatti, nei contratti d’appalto l’Amministrazione aggiudicatrice non è obbligata a stipulare il contratto con l’impresa aggiudicataria ed essa ben può rimuovere gli effetti dell’atto di aggiudicazione provvisoria e finanche di quello di aggiudicazione definitiva, purché la conseguente azione amministrativa sia condotta coi necessari crismi della legittimità. Inoltre, l’aggiudicazione provvisoria, anche se individua un potenziale aggiudicatario definitivo della gara, è un atto ancora ad effetti instabili, del tutto interinali, e determina solo la nascita di una mera aspettativa, con la conseguenza che è sempre possibile per l’Amministrazione procedere in autotutela. In sostanza, è riconosciuto che l’aggiudicazione provvisoria dell’appalto pubblico, essendo atto endoprocedimentale, determina nell’impresa che l’ha ottenuta soltanto una mera aspettativa di fatto alla conclusione del procedimento e non già una posizione giuridica qualificata che, viceversa, può solo derivare dall’aggiudicazione definitiva; pertanto, non può ritenersi preclusa alla stazione appaltante la possibilità di procedere alla sua revoca o annullamento allorché la gara stessa non risponda più alle esigenze dell’Ente e sussista un interesse pubblico, concreto e attuale, all’eliminazione degli atti divenuti inopportuni, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse dell’aggiudicatario provvisorio nei confronti dell’Amministrazione; tale potere, già previsto dalla disciplina di contabilità generale dello Stato, che consente il diniego di approvazione per motivi di interesse pubblico (art. 113 R.D. 23 maggio 1924 n. 827), trova il proprio fondamento nel principio generale dell’autotutela della Pubblica amministrazione, che rappresenta una delle manifestazioni tipiche del potere amministrativo, direttamente connesso ai criteri costituzionali di imparzialità e buon andamento della funzione pubblica. Se l’aggiudicazione provvisoria della gara d’appalto è inidonea a generare nella ditta provvisoriamente vincitrice una posizione consolidata, sull’Amministrazione che intende esercitare il potere di autotutela incombe comunque un onere di motivazione, sia pure fortemente attenuato, circa le ragioni di interesse pubblico che l’hanno determinata, essendo sufficiente che sia reso palese almeno il ragionamento seguito per giungere alla determinazione negativa attraverso l’indicazione degli elementi concreti ed obiettivi in base ai quali essa ritiene di non procedere più all’aggiudicazione definitiva.

Corte Costituzionale Roma – Sentenza 07/04/2011 n. 114
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

La Sezione condivide il principio per cui l’amministrazione può provvedere alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria e dell’intera procedura di gara in presenza di un’unica offerta valida, senza obbligo di particolare motivazione, specialmente se l’intervento in autotutela di tipo caducatorio sia basato su una valutazione di convenienza economica; in particolare, non appare irragionevole l’aver ritenuto che l’esiguo ribasso offerto dall’unica concorrente rimasta in gara fosse facilmente migliorabile in una nuova procedura, essendo detto ribasso assai prossimo allo zero; né appare illegittimo che tale previsione sia stata desunta anche dalla percentuale di ribasso offerta nella gara appena espletata dal concorrente escluso, dal momento che la predetta esclusione, motivata da ragioni meramente formali, non impediva alla stazione appaltante di assumere quella stessa offerta come semplice elemento di fatto, sintomatico dell’esistenza di una disponibilità del mercato ad offrire prezzi più convenienti.

TAR Palermo, Sezione III – Sentenza 18/03/2011 n. 504
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

L’aggiudicazione provvisoria ha carattere endoprocedimentale ed è fonte di una mera aspettativa; la sua impugnazione si configura, di conseguenza come una facoltà e non come un onere soggetto a termine di decadenza (cfr. Cons. Stato, VI, 3 ottobre 2007, n. 5107; VI, 25 settembre 2007, n. 4937; V, 6 febbraio 2007, n. 484; V, 22 novembre 2005, n. 6487). Pertanto, il provvedimento effettivamente lesivo è pur sempre l’aggiudicazione definitiva, atto finale della procedura concorsuale, da impugnare, in ogni caso (cfr. Cons. Stato, V, 30 agosto 2006, n. 5076; VI, 29 novembre 2004, n. 7802; V, 26 maggio 2004, n. 3465). Ne consegue che il termine decadenziale di trenta giorni per impugnare i risultati della gara iniziato a decorrere dalla comunicazione dell’aggiudicazione definitiva, ex art. 79 del D.lgs. 163 del 2006, così come richiamato dall’art. 120, comma 5, del c.p.a., e, comunque, dalla conoscenza personale dell’atto, momento in cui è possibile anche fare valere i vizi relativi all’aggiudicazione provvisoria (cfr. Cons. Stato, V, 6 marzo 2006, n. 1068; V, 28 maggio 2004, n. 3463; V, 24 maggio 2002, n. 2863).

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 08/03/2011 n. 1446
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

L’aggiudicazione provvisoria ha natura di atto endoprocedimentale, inserendosi nell’ambito della procedura di scelta del contraente come momento necessario ma non decisivo, atteso che la definitiva individuazione del concorrente cui affidare l’appalto risulta cristallizzata soltanto con l’aggiudicazione definitiva; pertanto,versandosi ancora nell’unico procedimento iniziato con l’istanza di partecipazione alla gara e vantando in tal caso l’aggiudicatario provvisorio solo una aspettativa alla conclusione del procedimento, non si impone la comunicazione di avvio del procedimento di annullamento in autotutela.

TAR Napoli, Sezione VIII – Sentenza 10/02/2011 n. 834
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

L’aggiudicataria “provvisoria” di una gara d’appalto non può ritenersi portatrice di un’aspettativa qualificata alla stipula del contratto. Infatti, in tema di contratti pubblici la possibilità che ad un’aggiudicazione provvisoria non segua quella definitiva è un evento del tutto fisiologico, inidoneo di per sé a ingenerare qualunque affidamento tutelabile” (C.d.S. sez. VI, 27 luglio 2010 n. 4902). L’aggiudicazione provvisoria è un atto endoprocedimentale, di natura provvisoria, inserendosi nell’ambito della procedura di scelta del contraente come sub procedimento e quindi come fase necessaria, ma non decisiva, atteso che la definitiva individuazione del contraente risulta consacrata soltanto con l’aggiudicazione definitiva. Pertanto, nella fase che segue l’aggiudicazione provvisoria, ove la p.a. intenda esercitare il proprio potere di autotutela nei confronti della prima classificata, non è tenuta a darle comunicazione dell’avvio del relativo procedimento, non trattandosi di un procedimento di autotutela né tanto meno di un autonomo, nuovo procedimento, bensì di una fase dell’unico procedimento di affidamento, che si conclude solo con l’aggiudicazione definitiva.(cfr C.d.S. 13.09.2001 n. 4805).

TAR Piemonte, Sezione I – Sentenza 27/01/2011 n. 114
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

L’amministrazione può provvedere alla revoca dell’aggiudicazione provvisoria e dell’intera procedura di gara in presenza di un’unica offerta valida, senza obbligo di particolare motivazione, specialmente se l’intervento in autotutela di tipo caducatorio è basato su una valutazione di convenienza economica.

Consiglio di Stato, Sezione VI – Sentenza 20/10/2010 n. 7586
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

Secondo la giurisprudenza, l’ aggiudicazione provvisoria di un appalto pubblico ha natura di atto endoprocedimentale, ad effetti ancora instabili e del tutto interinali, sicché è inidonea a produrre la definitiva lesione dell’impresa non risultata aggiudicataria, che si verifica solo con l’aggiudicazione definitiva, la quale non costituisce atto meramente confermativo della prima ed in riferimento esclusivamente alla quale, quindi, va verificata la tempestività del ricorso; di conseguenza, l’onere per l’impresa di impugnare tempestivamente gli atti della procedura di evidenza pubblica, ad eccezione dell’esclusione dalla stessa e delle clausole del bando che rendano impossibile la partecipazione alla gara, sorge solo a seguito dell’emanazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva (in tal senso –ex plurimis -: Cons. Stato, Sez. V, sent. 12 luglio 2010, n. 4483; id., Sez. VI, sent. 6 aprile 2010, n. 1907; id., Sez. I, sent. 14 novembre 2008, n. 5691).

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 29/12/2009 n. 8966
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

Alla stregua di un consolidato indirizzo giurisprudenziale, l’aggiudicazione provvisoria di un appalto pubblico ha natura di atto endoprocedimentale, ad effetti ancora instabili e del tutto interinali. Essa pertanto, per un verso, è inidonea a produrre la lesione della ditta non risultata aggiudicataria, che può concretamente verificarsi solo con l’aggiudicazione definitiva, che non costituisce atto meramente confermativo della prima (ex multis, C.d.S., sez. V, 20 luglio 2009, n. 4527; 14 novembre 2008, n. 5691; sez. VI, 25 settembre 2007, n. 4937), e d’altra parte è parimenti inidonea a generare nella ditta provvisoriamente aggiudicataria una posizione di vantaggio ovvero un ragionevole (ed incolpevole) affidamento in ordine al provvedimento di aggiudicazione definitiva ed alla conseguente stipulazione del contratto, con la conseguenza che l’amministrazione che intende esercitare il proprio potere di autotutela proprio rispetto all’aggiudicazione provvisoria non ha uno specifico onere di motivazione circa le ragioni di interesse pubblico che lo hanno determinato, essendo sufficiente che sia reso palese il ragionamento seguito per giungere alla determinazione negativa, attraverso l’indicazione degli elementi concreti ed obiettivi in base ai quali ha ritenuto di non procedere all’aggiudicazione (C.d.S., sez. IV, 31 maggio 2007, n. 2838), potendo anche tener conto delle preminenti ragioni poste dalla esigenza di salvaguardia del pubblico interesse (C.d.S., sez. IV 15 settembre 2006, n. 5374).

TAR Lecce, Sezione II – Sentenza 16/11/2009 n. 2687
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

Trattandosi di procedura di evidenza pubblica (rectius: “aperta”), si ravvisa la violazione del divieto, sancito dalla normativa nazionale e dai principi comunitari al fine di evitare l’introduzione di elementi distorsivi della concorrenza, di qualsiasi negoziazione in una fase successiva all’aggiudicazione provvisoria (Cfr: Consiglio di Stato, VI Sezione, 4 Novembre 2002 n° 6004), senza alcuna possibilità di fare riferimento all’autonomia privata ex artt. 1321 e 1322 Codice Civile e/o alle trattative precontrattuali di cui all’art. 1337 Codice Civile. D’altra parte, se la “ratio” del divieto di “rinegoziazione” (intesa “lato sensu”) è la tutela della “par condicio”, appare evidente che la compromissione di tale principio fondamentale avviene indipendentemente dal soggetto che ha assunto l’iniziativa della c.d. “rinegoziazione”: in ogni caso, infatti, si viene a realizzare un’inammissibile (parziale) trasformazione di una procedura di evidenza pubblica in una procedura negoziata (è appena il caso, poi, di segnalare sia che si tratta comunque di “rinegoziazione”, poiché sono sempre due le volontà che si incontrano: nel caso di specie, quella del soggetto privato che ha proposto la riduzione del prezzo di aggiudicazione e quella della Pubblica Amministrazione appaltante che ha accettato tale proposta; sia che il prezzo è certamente uno degli elementi essenziali della aggiudicazione e del contratto).

TAR Roma, Sezione II ter – Sentenza 09/11/2009 n. 10991
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

L’aggiudicazione provvisoria, ai sensi dell’art. 12 del d.lg. 12 aprile 2006 n. 163, è soggetta ad approvazione della stazione appaltante ed il provvedimento di approvazione non costituisce un atto vincolato, poiché in esso si esprime un’ulteriore valutazione della stazione appaltante circa la regolarità nello svolgimento della procedura e la convenienza della stipulazione del contratto, dovendo quindi essa svolgere nuove ed autonome considerazioni rispetto all’aggiudicazione provvisoria tant’è che l’impugnazione di questa è considerata una mera facoltà mentre è sempre necessario che il concorrente non aggiudicatario impugni l’aggiudicazione definitiva. L’aggiudicazione provvisoria è, pertanto, un atto ad effetti instabili, del tutto interinali, a fronte del quale non possono configurarsi situazioni di vantaggio stabili in capo al beneficiario. In attesa dell’aggiudicazione definitiva e del concreto inizio del servizio non vi è alcuna posizione consolidata dell’impresa concorrente che possa postulare il riferimento in sede di revoca dell’aggiudicazione ad un interesse pubblico giustificativo del sacrificio del privato e l’Amministrazione ha altresì il potere di provvedere all’annullamento dell’aggiudicazione provvisoria in via implicita e senza obbligo di particolare motivazione ( cfr sul punto da ultimo T.A.R. Campania Napoli, sez. VIII, 24 settembre 2008 , n. 10735).

TAR Roma, Sezione I bis – Sentenza 08/07/2009 n. 6681
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

L’aggiudicazione provvisoria, ai sensi dell’art. 12 del D.Lgs. 12 aprile 2006 n. 163, è soggetta ad approvazione della stazione appaltante ed il provvedimento di approvazione non costituisce un atto vincolato, poiché in esso si esprime un’ulteriore valutazione della stazione appaltante circa la regolarità nello svolgimento della procedura e la convenienza della stipulazione del contratto, dovendo quindi essa svolgere nuove ed autonome considerazioni rispetto all’aggiudicazione provvisoria, cosicchè l’impugnazione di questa, non consolidando la lesione in capo al concorrente non aggiudicatario, è da considerarsi una mera facoltà, mentre è sempre necessario che il concorrente non aggiudicatario impugni l’aggiudicazione definitiva, tanto che la mancata impugnazione dell’atto finale del procedimento di gara determina l’improcedibilità, per sopravvenuta carenza di interesse, del ricorso rivolto contro l’aggiudicazione provvisoria, atteso che l’eventuale annullamento di quest’ultima non arrecherebbe alcun concreto vantaggio al ricorrente, il cui interesse sarebbe irrimediabilmente pregiudicato dal provvedimento sopraggiunto e non contestato (ex plurimis, da ultimo: Cons. Stato – Sez. IV – 21 aprile 2008 n. 1773).

TAR Roma, Sezione III – Sentenza 12/11/2008 n. 10052
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

Essendo l’atto di aggiudicazione provvisoria di una gara pubblica (atto di giudizio della commissione di gara) soltanto una proposta per l’amministrazione appaltante, la quale procede alla aggiudicazione definitiva (atto di volontà) previa verifica dell’operato della commissione stessa, con conseguente natura endoprocedimentale e con funzione servente della aggiudicazione definitiva- una volta impugnata l’aggiudicazione provvisoria, se non viene impugnata quella definitiva, il primo ricorso diviene improcedibile per sopravvenuto difetto di interesse, atteso che l’annullamento giurisdizionale della sola aggiudicazione provvisoria, non facendo venire meno quella definitiva, non sarebbe di alcuna utilità al ricorrente (cfr. CdS, IV, 22.6.2006, n. 3851; vedi anche, tra le tante, CdS, V, 6.2.2007, n. 484; 21.11.2007, n. 5925; IV, 21.4.2008, n. 1773; V, 7.5.2008, n. 2089).

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 07/10/2008 n. 4854
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

L’aggiudicazione provvisoria della gara di appalto ha natura di atto endoprocedimentale, inidoneo a produrre la definitiva lesione dell’interesse della ditta che non è risultata vincitrice (a divenire tale), lesione che si verifica, appunto, soltanto con l’aggiudicazione definitiva. Secondo pacifica giurisprudenza, dunque, il concorrente non aggiudicatario ha la facoltà, ma non l’onere, di impugnare l’aggiudicazione provvisoria, ben potendo optare per la diversa soluzione di impugnare la successiva aggiudicazione definitiva; l’aggiudicazione provvisoria non è, infatti, l’atto conclusivo del procedimento, bensì atto preparatorio che produce solo effetti prodromici e, di conseguenza, non vi è un onere di immediata impugnazione della stessa (cfr., fra tutte, Cons. Stato, sez. VI, 20 febbraio 2008, n. 588; Cons. Stato, IV, n. 6456/2006; Id., sez. V, n. 484/2007; Id., sez. VI, n. 7802/2004) per cui ne discende sul piano processuale che il termine per impugnare la definizione del procedimento di selezione pubblica di un contraente della Pubblica Amministrazione decorre, di regola, dalla piena conoscenza dell’aggiudicazione definitiva (Cons. Stato, sez. V, 11 maggio 2004, n. 2951; Cons. Stato, sez. V, 29 luglio 2003, n. 4327).

TAR Napoli, Sezione VIII – Sentenza 24/09/2008 n. 10735
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

In presenza di un provvedimento di aggiudicazione provvisoria, è pacifica la permanenza in capo alla stazione appaltante di uno spazio riservato di autonomia nella determinazione valutativa che culminerà poi solo con l’aggiudicazione definitiva. Come noto, l’aggiudicazione provvisoria è comunque un atto “ad effetti instabili , del tutto interinali” (C.d.S. sez. VI, 26.04.2005, n. 1885) a fronte del quale non possono configurarsi situazioni di vantaggio stabili in capo al beneficiario. Ed infatti la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che: “ in attesa dell’aggiudicazione definitiva e del concreto inizio del servizio “ non vi è “alcuna posizione consolidata dell’impresa concorrente che possa postulare il riferimento in sede di revoca dell’aggiudicazione ad un interesse pubblico giustificativo del sacrificio del privato” (T.a.r. Lazio sez. III, 25.03.2005 n. 2132), e che l’amministrazione ha altresì il potere di provvedere all’annullamento dell’aggiudicazione provvisoria in via implicita e senza obbligo di particolare motivazione” (T.a.r. Piemonte, sez. II, 22.10.2005 n. 3266).

TAR Lecce, Sezione II – Sentenza 14/05/2007 n. 1906
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

Il verbale di aggiudicazione nella licitazione privata ha carattere meramente provvisorio ( Consiglio di Stato, sez. V, 24 ottobre 2006, n. 6338), atteso che è corrente l’affermazione secondo cui l’art. 16 comma 4 r.d. 18 novembre 1923 n. 2440 non ha di per sé natura automatica e obbligatoria, non potendosi escludere che la stessa p.a., cui spetta di valutare discrezionalmente l’interesse pubblico, possa rinviare, anche implicitamente, la costituzione del vincolo al momento della stipulazione del contratto, fino al quale non esiste un diritto soggettivo dell’aggiudicataria all’esecuzione dello stesso, e che tale diritto si costituisce solo al momento dell’approvazione del contratto, che rappresenta espressione della potestà di controllo facente capo all’organo competente ad esprimere la volontà dell’ente (Consiglio Stato, sez. IV, 2 gennaio 1996, n. 16).

TAR Venezia – Sentenza 16/03/2007 n. 788
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

I concorrenti a gare pubbliche possono impugnare immediatamente ed autonomamente l’aggiudicazione provvisoria, trattandosi di un atto ex se lesivo degli interessi delle imprese non aggiudicatarie, in quanto le priva dell’aspettativa di poter ottenere l’appalto, salvo l’onere di impugnare successivamente l’aggiudicazione definitiva, pena l’improcedibilità del ricorso.

TAR Sicilia – Sentenza 07/09/2011 n. 1603
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

Come recentemente chiarito in giurisprudenza , l’art. 12 d. lgs. 12 aprile 2006, n. 163, attenendo al controllo sugli atti delle procedure di affidamento, determina, nel caso di inutile decorso del termine, la formazione del silenzio assenso sull’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria; ma non integra, diversamente, il perfezionamento dell’aggiudicazione definitiva. L’aggiudicazione definitiva, infatti, richiede una manifestazione di volontà espressa dell’amministrazione, mentre è il suo presupposto, vale a dire l’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria, che può venire in essere per effetto del comportamento inerte dell’organo amministrativo competente, tanto che, ai sensi dell’art. 11, comma 5, del D.Lgs. 163/2006, la stazione appaltante, previa verifica dell’aggiudicazione provvisoria di cui all’art. 12, comma 1, provvede all’aggiudicazione definitiva. La stazione appaltante, a fronte dell’approvazione dell’aggiudicazione provvisoria, conserva senz’altro il potere discrezionale di procedere o meno all’aggiudicazione definitiva; di talché il relativo provvedimento, adottato (non solo da Autorità diversa rispetto a quella competente ai fini dell’aggiudicazione provvisoria; ma anche) nell’esercizio di un potere e sulla base di presupposti inassimilabili rispetto a quelli relativi alla medesima aggiudicazione provvisoria, impone una separata impugnazione, in difetto della quale il consolidamento dei relativi effetti priva parte ricorrente dell’interesse all’ulteriore coltivazione dell’impugnativa.

TAR Campania – Sentenza 01/09/2011 n. 4293
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

Allorquando l’annullamento dell’aggiudicazione definitiva sia disposto per riscontrata insussistenza dei requisiti partecipativi, non è da reputarsi necessaria la comunicazione di avvio del procedimento, non versandosi in ipotesi di nuovo procedimento, ma di comprovazione del possesso dei requisiti dichiarati in gara e poi da dimostrare in vista della stipula del contratto. Stante la natura doverosa e vincolata dell’annullamento dell’aggiudicazione definitiva a fronte della riscontrata carenza oggettiva dei requisiti partecipativi, le ragioni di pubblico interesse sottese al provvedimento in autotutela impugnato risiedono in re ipsa, ossia nella indefettibile necessità che i lavori affidati siano eseguiti da un operatore economico a tanto professionalmente qualificato, nonché in regola con gli obblighi contributivi.

TAR Toscana – Sentenza 01/09/2011 n. 1372
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

Il potere riconoscibile alle p.a. di sospendere, revocare e/o annullare le procedure di gara, soprattutto se ancora nella fase endoprocedimentale dell’aggiudicazione provvisoria, è sempre esercitabile. Infatti, nei contratti d’appalto l’Amministrazione aggiudicatrice non è obbligata a stipulare il contratto con l’impresa aggiudicataria ed essa ben può rimuovere gli effetti dell’atto di aggiudicazione provvisoria e finanche di quello di aggiudicazione definitiva, purché la conseguente azione amministrativa sia condotta coi necessari crismi della legittimità. Inoltre, l’aggiudicazione provvisoria, anche se individua un potenziale aggiudicatario definitivo della gara, è un atto ancora ad effetti instabili, del tutto interinali, e determina solo la nascita di una mera aspettativa, con la conseguenza che è sempre possibile per l’Amministrazione procedere in autotutela. In sostanza, è riconosciuto che l’aggiudicazione provvisoria dell’appalto pubblico, essendo atto endoprocedimentale, determina nell’impresa che l’ha ottenuta soltanto una mera aspettativa di fatto alla conclusione del procedimento e non già una posizione giuridica qualificata che, viceversa, può solo derivare dall’aggiudicazione definitiva; pertanto, non può ritenersi preclusa alla stazione appaltante la possibilità di procedere alla sua revoca o annullamento allorché la gara stessa non risponda più alle esigenze dell’Ente e sussista un interesse pubblico, concreto e attuale, all’eliminazione degli atti divenuti inopportuni, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse dell’aggiudicatario provvisorio nei confronti dell’Amministrazione; tale potere, già previsto dalla disciplina di contabilità generale dello Stato, che consente il diniego di approvazione per motivi di interesse pubblico (art. 113 R.D. 23 maggio 1924 n. 827), trova il proprio fondamento nel principio generale dell’autotutela della Pubblica amministrazione, che rappresenta una delle manifestazioni tipiche del potere amministrativo, direttamente connesso ai criteri costituzionali di imparzialità e buon andamento della funzione pubblica. Se l’aggiudicazione provvisoria della gara d’appalto è inidonea a generare nella ditta provvisoriamente vincitrice una posizione consolidata, sull’Amministrazione che intende esercitare il potere di autotutela incombe comunque un onere di motivazione, sia pure fortemente attenuato, circa le ragioni di interesse pubblico che l’hanno determinata, essendo sufficiente che sia reso palese almeno il ragionamento seguito per giungere alla determinazione negativa attraverso l’indicazione degli elementi concreti ed obiettivi in base ai quali essa ritiene di non procedere più all’aggiudicazione definitiva.

TAR Napoli, Sezione I – Sentenza 10/03/2011 n. 1441
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

L’omissione dell’adempimento prescritto dalla disposizione (art. 79 D.Lgs. n. 163/2006) che impone di comunicare l’avvenuta aggiudicazione definitiva al secondo classificato entro un termine non superiore a cinque giorni, non incide sulla legittimità dell’aggiudicazione ma semplicemente sulla decorrenza del termine per l’impugnazione (giurisprudenza consolidata: cfr. TAR Abruzzo l’Aquila, Sez. I, 18 ottobre 2010 n. 705; TAR Lazio Latina, Sez. I, 19 aprile 2010 n. 539; TAR Campania Napoli, Sez. I, 2 aprile 2008 n. 1800).

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 04/01/2011 n. 11
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

L’accertata illegittimità della procedura di affidamento di un’opera o di un servizio da parte di una pubblica amministrazione determina, in generale, oltre l’annullamento degli atti di aggiudicazione ritenuti illegittimi anche l’inefficacia del contratto eventualmente già sottoscritto. Anche se nei contratti della Pubblica Amministrazione l’aggiudicazione, quale atto conclusivo del procedimento di scelta del contraente, segna di norma il momento dell’incontro della volontà della stessa Amministrazione e del privato di concludere il contratto, manifestata con l’individuazione dell’offerta ritenuta migliore, non è tuttavia precluso all’Amministrazione di procedere, con atto successivo e con richiamo ad un preciso e concreto interesse pubblico, all’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione, fondandosi detta potestà di annullamento in autotutela sul principio costituzionale di buon andamento che impegna la pubblica Amministrazione ad adottare atti il più possibile rispondenti ai fini da conseguire, ma con l’obbligo di fornire una adeguata motivazione in ordine ai motivi che, alla luce della comparazione dell’interesse pubblico con le contrapposte posizioni consolidate dei partecipanti alla gara, giustificano il provvedimento di autotutela. E l’Amministrazione ha il potere di annullare l’aggiudicazione di un appalto pubblico anche dopo la stipulazione del contratto, in presenza ovviamente di adeguate esigenze di interesse pubblico. In tale evenienza e in virtù della stretta consequenzialità tra l’aggiudicazione della gara pubblica e la stipula del relativo contratto, l’annullamento giurisdizionale, ovvero, come nella specie, l’annullamento a seguito di autotutela degli atti della procedura amministrativa, comporta la caducazione automatica degli effetti negoziali del contratto successivamente stipulato, stante la preordinazione funzionale tra tali atti. Infatti il contratto non ha una autonomia propria ed è destinato a subire gli effetti del vizio che affligge il provvedimento cui è inscindibilmente collegato restando “caducato” a seguito dell’annullamento degli atti che ne hanno determinato la sottoscrizione (cfr. per alcuni profili Consiglio Stato, Adunanza plenaria, 30 luglio 2008 n. 9, secondo cui l’annullamento dell’aggiudicazione determina un vincolo permanente e puntuale sulla successiva attività dell’amministrazione, il cui contenuto non può prescindere dall’effetto caducatorio del contratto stipulato).

TAR Bari, Sezione I – Sentenza 09/07/2009 n. 432
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

Lo smarrimento dell’offerta dell’aggiudicataria (imputabile all’Amministrazione) comporta un vulnus irrimediabile alla trasparenza della procedura ed al diritto di difesa dei concorrenti, determinando la necessità di rinnovare integralmente la gara.

TAR Roma, Sezione I bis – Sentenza 08/07/2009 n. 6681
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

Se il provvedimento lesivo, da cui decorrono i termini per l’impugnazione, è quello di aggiudicazione definitiva, ne consegue che nelle ipotesi in cui la piena conoscenza dello stesso avvenga mediante la ricezione della comunicazione individuale di cui all’art. 79 del D.Lgs. n. 163 del 2006, è a tale comunicazione che deve farsi riferimento ai fini della proposizione dell’azione impugnatoria, posto che essa contiene gli elementi essenziali della decisione e del suo contenuto lesivo, potendo la conoscenza di ulteriori atti della procedura consentire la proposizione di eventuali motivi aggiunti.

Consiglio di Stato, Sezione VI – Sentenza 13/11/2008 n. 5264
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

L’omessa formale comunicazione dell’ aggiudicazione definitiva ai sensi dell’ art. 79, comma quinto, del codice dei contratti pubblici approvato con d.lgs. n. 163/2006, si riflette sul termine per proporre ricorso, ma non vizia l’atto cui si riferisce, la cui validità va apprezzata in relazione al contenuto del provvedimento ed alle precedenti e diverse fasi procedimentali di istruttoria e deliberazione.

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 25/08/2008 n. 4053
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

L’aggiudicazione definitiva che non và considerata atto meramente confermativo o esecutivo ma provvedimento che, anche quando recepisca i risultati dell’aggiudicazione provvisoria, comporta comunque una nuova ed autonoma valutazione degli interessi pubblici sottostanti

Consiglio di Stato, Sezione VI – Sentenza 25/01/2008 n. 213
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

Costituisce principio pacifico quello secondo cui la conoscenza del provvedimento di aggiudicazione definitiva non può essere ricondotta alla data di pubblicazione dello stesso, sussistendo un onere per le stazioni appaltanti di portare gli esiti delle procedure di gara a conoscenza dei concorrenti per mezzo di apposite comunicazioni (cfr., fra tutte, Cons. Stato, VI, n. 2445/2006; principio poi codificato dall’art. 11, comma 10, del D. Lgs. n. 163/2006).

Consiglio di Stato, Sezione V – Sentenza 30/11/2007 n. 6137
d.lgs 163/06 Articoli 11 – Codici 11.2.1, 11.2.2

Il potere di revoca, in sede di autotutela, di un provvedimento di approvazione dell’aggiudicazione, con rescissione del relativo contratto d’appalto, deve trovare fondamento in ragioni di pubblico interesse. Un’idonea e compiuta motivazione deve supportare anche il provvedimento di diniego d’approvazione definitiva degli atti di gara, intervenuto a conclusione dell’attività della commissione giudicatrice.

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